di Roberto A. Basili
Amor di democrazia mi obbliga a scrivere ancora di Te.Ma. e del suo bilancio consuntivo. Per i meno informati, riepiloghiamo i fatti. La Te.Ma. gestisce per conto del Comune di Orvieto il Teatro Mancinelli e, come tutte le associazioni, ha uno statuto che ne regola la vita interna e gli organi di governo: presidente, consiglio di amministrazione, assemblea.
L’assemblea, organo di vigilanza e di indirizzo, è di circa 420 soci, chiamati, tra l’altro, ad approvare il bilancio consuntivo a maggioranza dei presenti; essa è sovrana e le sue deliberazioni legalmente prese obbligano tutti i soci (art. 8).
A giugno 2016 l’assemblea disapprova il bilancio consuntivo 2015: sono presenti 25 soci, pari a poco più del 5% degli aventi diritto: la deliberazione è comunque legalmente presa. Panico a Teatro e in Comune, sconcerto in città. Cosa fare? Il Consiglio d’Amministrazione si deve dimettere o è meglio di no? Gli spin doctor si mettono al lavoro e dopo giorni di riflessioni, le più disparate assicurano i retroscenisti, danno la soluzione: i due membri nominati dal Sindaco e quello nominato dal socio “benefattore”, il Comune, rassegnino le proprie dimissioni nelle mani del Sindaco che prontamente le respingerà. I tre dimissionari, così rigenerati, potranno tornare al loro posto. E così è avvenuto.
A luglio 2016, di nuovo assemblea dei soci, questa volta sono circa 40, pari al 10%, e il consuntivo 2015 viene approvato.
Per dirla con Stéphane Mallarmé, padre del simbolismo francese, un coup de dés jamais n’abolira le hasard (un tiro di dadi mai abolirà il caso). Ma la democrazia non è come i dadi, che puoi tirarli finché non esca il 6! La democrazia non si affida al caso. Essa è trasparenza, legalità, rispetto delle regole; è un calice che va bevuto anche quando è amaro. Nello svolgersi dell’ affaire Te.Ma. invece si è palesata una sorta di democrazia 2.0, con concetti della stessa quanto meno originali.
La prima originalità: non si è mai visto riproporre tal quale un provvedimento già bocciato; le regole del diritto non prevedono la “riavuta”. Immagino che lo stesso Codice Civile della Repubblica avrebbe da ridire.
La seconda: non si è mai visto rassegnare le dimissioni nelle mani di un socio (il Comune); né il Sindaco può “abusare del suo potere” nel respingerle: è un atto da rivolgere all’assemblea dei soci. E’ come se un consigliere comunale le rassegnasse al partito che l’ha indicato e non al Consiglio: non avrebbe efficacia alcuna.
La terza e ultima: che a deliberare sia, quasi sempre, appena il 5% degli aventi diritto ha il sapore della democrazia? E ancora, quanti non partecipano sono da considerare decaduti o no? Essere soci Te.Ma. non fa status symbol, dà solo qualche futile privilegio; per converso, un’assemblea sifatta si presta al governo di pochi, mascherato da molti, ma anche ad agguati preordinati.
A Te.Ma., fin quando gestirà soldi dei cittadini, suggerirei una revisione profonda delle parti dello statuto palesemente stridenti con i concetti basilari della democrazia. Al Sindaco invece, raccomanderei di licenziare spin doctor e azzeccagarbugli per non trovarsi in qualche guaio; di ripensare le scatole cinesi delle quali il Comune è parte, costruite nel tempo solo per allargare la platea delle poltrone; e di riportare la gestione delle diverse attività al Comune, sotto la guida di assessori scelti per capacità e non in rappresentanza dei capibastone del cosiddetto centrosinistra cittadino.
Pochi giorni fa, parlavo di questi argomenti con un anziano compagno che dal vecchio PCI ha ricevuto più sacrifici che vantaggi. Rimproverando come esagerata la mia sensibilità per le questioni della democrazia, mi ha obiettato: “che vuoi fare, sono ragazzi”; “ma la democrazia non è un gioco per ragazzi” – ho replicato. E lui, rattristato, è rimasto in silenzio.