Riprendiamo il filo della prima puntata ripercorrendo brevemente una storia tristemente vissuta e, per poi, affrontare alcuni temi di più odierna attualità.
Appena dopo la seconda guerra mondiale, fu approvata dall’Assemblea Costituente la Costituzione Repubblicana Italiana fondata sulla democrazia e il lavoro. Fin quasi da subito vi fu qualcuno a cui non piacque, la rifiutò e non la accettò e, non avendola accettata, ha cercato nel corso degli anni e in ogni modo, lecito o illecito che sia, di modificarla strutturalmente per imporre una qualche forma di regime autoritario. Chi non ha perso del tutto la memoria, ricorderà senz’altro i famigerati nomi di Pacciardi, Cavallo, Sogno, De Lorenzo, Borghese, Gelli, ai quali vanno aggiunte le schiere di coloro che, tramando nell’ombra del nascosto, hanno operato per svolte antidemocratiche e liberticide di ieri ma, anche, dell’oggi. Sono coloro ai quali non sembra vero che sia finalmente giunto il momento di spostare il baricentro della Costituzione dal Parlamento al Governo o, ancor peggio, al mito di “un solo uomo al comando” che, nell’immanente, è incarnato da quell’imbonitore di Renzi.
Bisogna onestamente ammettere che forse, dopo settant’anni, alcuni ritocchi costituzionali tornerebbero utili e necessari, ma esiste modo e modo per apportarli e che non sono certo quelli su cui il popolo italiano sarà chiamato ad esprimere il suo giudizio, definitivo e inappellabile.
Basti rammentare che dieci anni orsono le italiane e gli italiani, a stragrande maggioranza, hanno già respinto un analogo tentativo di riforma costituzionale ritenendolo non conforme agli irrinunciabili princìpi di una vera e sostanziale democrazia moderna.
Ho trascritto poco sopra la parola “Governo” che , per associazione di idee, spinge a pronunciarne un’altra e, cioè, quella di “Governabilità”. La governabilità è stata coniata da quelli che, pur di non dover cedere il potere di cui si sono impossessati, si appellano ad essa per mantenerlo a tutti i costi facendosi passare per i soli in grado di garantirla anche a scapito di rinunce sul versante delle libertà individuali e collettive. La governabilità, dunque, come strumento di ricatto e di inquinamento delle coscienze civili!
Io penso, al contrario, che governare un popolo, e cioè guidarlo in giustizia e concordia verso mete comuni, sia ben altro se è vero, come è vero, che in democrazia governo significa elaborazione e successiva realizzazione di programmi e progetti politici capaci di suscitare consenso, partecipazione, sostegno popolare. In assenza, il modello democratico degenera in linguaggio demagogico, vuote rassicurazioni, rassegnazione allo “statu quo” e abulia nei confronti della vita pubblica: tutti ingredienti questi che conducono inevitabilmente ad agevoli manipolazioni del corpo elettorale.
Ad una governabilità di comodo e di facciata mi sento, quindi, di replicare con due concetti da riportare in auge: partecipazione reale e diretta della popolazione alle scelte politiche e sociali; governo democratico nella sua essenza più profonda, eletto liberamente dal popolo e non nominato da una ristrettissima cerchia di notabili come, purtroppo, è avvenuto con Monti, Letta e con lo stesso Renzi.
Dopo il Governo, sia la volta del Parlamento che dovrebbe essere la sede principe e l’organo per eccellenza della democrazia e che, invece e sciaguratamente, ha approvato a maggioranza la “kako-riforma” costituzionale ricorrendo allo strumento antidemocratico della “questione di fiducia”. E infatti, quale Parlamento?
Un Parlamento illegittimo, eletto con una legge elettorale obbrobriosa tanto da essere stata dichiarata incostituzionale per le sue caratteristiche intrinseche come fosse una sorta di leva atta a delibare un vero e proprio “golpe elettorale”e, ciò, per aver spezzato il rapporto di rappresentanza tra popolo e istituzione legislativa. Per completezza e amore della verità storica, vi è da aggiungere che la Consulta ha pure stabilito che, per sole e mere ragioni di continuità istituzionale, le Camere non sarebbero decadute immediatamente. Non immediatamente, ma nemmeno mai!
E’ lampante, difatti, per tutti coloro che hanno ancora un’idea, seppur minima, del significato di “Democrazia” che, da quella sentenza, si sarebbe dovuto procedere con la massima tempestività alla elezione di un nuovo Parlamento, attraverso una legge elettorale conforme alla Costituzione, e onde ricucire la rottura di rappresentanza tra eletti ed elettori.
E’ inoltre vero che, scandalosamente, anche da parte delle più alte autorità dello Stato, dell’informazione di regime e di non trascurabili settori di “dottrina costituzionalistica”, si finge che non esista una questione di legittimità democratica e morale sull’intera vicenda tanto più se si considera che, se non vi fosse stato l’incostituzionale premio di maggioranza, probabilmente sarebbero mancati i numeri necessari per varare i provvedimenti di riforma.
Nel salutarvi, Vi fisso appuntamento per il prossimo terzo atto.