Proseguendo nell’illustrazione delle argomentazioni tese a validare le ragioni del NO al referendum di ottobre, non si debbono sottacere alcune dissertazioni che, a prima vista, sembrerebbero futili e banali e che, invece, non lo sono affatto.
Mi sovviene, a tal proposito, una domanda che sentii rivolgere ad un illustre politologo da un giornalista arguto quanto antipatico e che, in estrema sintesi, suonò in tal maniera: hanno maggiore importanza le istituzioni o sono più utili e quasi indispensabili coloro che operano, con dignità e correttezza, nelle istituzioni stesse? Detta domanda, alla quale gli attuali pseudo-riformatori costantemente tentano di sfuggire ignorandone i contenuti con beata incoscienza, trova la sua naturale risposta nelle lezioni di vita politica forniteci dalla storia: infatti, ed è un dato ormai incontrovertibile, istituzioni seppur imperfette sono in grado di funzionare egregiamente qualora siano guidate da mani e menti degne e consapevoli del compito di governo che è loro affidato mentre, al contrario, anche la più perfetta delle costituzioni è destinata al fallimento istituzionale se in mano ad una casta di armeggioni incapaci, inadeguati e soprattutto corrotti.
Quella che si vuol far passare come riforma, riforma invece non è! Al massimo, la si può catalogare come un subalterno e rabberciato consolidamento del già esistente e, ovviamente, di un esistente fosco e foriero di sventure in quanto portatore di disgregazione costituzionale e di latenti istinti autoritari.
Codesti istinti e/o propensioni monocratiche non emergono necessariamente attraverso l’uso esplicito della coercizione forzosa esperita da un “uomo forte e unico al comando su tutto e su tutti”. Ciò è accaduto nel passato remoto ed anche, con ferite non ancora completamente rimarginate, in quello a noi più prossimo.
Nell’oggi, è più consono affermare che trattasi piuttosto dell’occupazione strategica delle postazioni nevralgiche nell’economia, nella finanza, nella comunicazione di massa, nei palazzi del potere, nella società, nella cultura e, cioè, in ogni settore nel quale si forma e si radica l’ideologia egemonica dominante. Questo è quanto sta accadendo manifestamente e, solo ai ciechi e a chi si ostina a non voler vedere, tutto ciò può apparire come fantasioso e surreale.
Ma, siccome ciechi non siamo ed anzi vogliamo vederci ben chiaro, ci balza prepotentemente agli occhi un disegno antidemocratico il quale, per essere portato a compimento, abbisogna dell’eliminazione o dell’abbassamento di tutti quegli ostacoli, quali il pluralismo istituzionale e gli organi di garanzia e controllo, che si frappongono ad esso e che frenano il fluido dispiegarsi della volontà di dominio assoluto.
Del resto, aver voluto unificare in un unico testo legislativo molteplici aspetti di rilevanza giuridico-costituzionale, di per se stessi diversissimi, rappresenta la prova provata della deliberata intenzione di generare confusione tra una pubblica opinione disincantata e sempre più orientata alla disaffezione verso i negozi politici. Valga, ad esempio, la sbandierata propaganda mistificatrice sulla riduzione dei costi delle attività pubbliche che, così come è stata impostata, non solo non li comprime, bensì li amplifica. Una vera e concreta contrazione di detti costi andava perseguita attraverso differenti strumenti realmente efficaci, quali la drastica diminuzione del numero dei deputati e, perché no, persino la totale abolizione del Senato della Repubblica.
Così non è stato! Si è preferito poter disporre di argomenti demagogici rientranti a pieno titolo in quella inveterata tradizione antiparlamentare che, da sempre, ha alimentato e continua ad alimentare il qualunquismo strisciante nella nostra malridotta patria. Non in tal modo si contrasta e si vince la cosiddetta “antipolitica” ma, all’opposto, la si incrementa nella sua essenza più intima.
Attenzione, quindi, genti di stirpe italica: non abbassare la guardia di un sol millimetro perché, poi, non abbiate a pentirvene! Ora, nel salutarvi cordialmente, Vi attendo all’incontro con il quinto atto.