Dove eravamo rimasti? Ah sì, allo snaturamento del Parlamento a favore del rafforzamento dei poteri coercitivi del Governo! L’arroganza di Renzi e dei suoi Ministri si è alimentata, giorno dopo giorno, dal supporto compiacente e interessato dell’ex Capo dello Stato Giorgio Napolitano il quale, spesso e volentieri sostituendosi al Governo stesso, ha tracciato i paletti entro cui muoversi. Infatti, le modifiche costituzionali sono state delineate e poi tradotte in disegni di legge sulla base di intese a due, gli stessi Renzi e Napolitano, nel chiuso delle loro stanze di palazzo.
Una volta trovato l’accordo, dette modifiche successivamente sono state di fatto imposte all’approvazione delle Camere con ogni genere di pressione, dalle minacce di scioglimento anticipato a quelle di epurazioni e sostituzioni dei dissenzienti marchiati come ingrati dissidenti, con spregiudicate forzature, dallo strozzamento delle discussioni parlamentari alla cancellazione d’ufficio degli emendamenti presentati dalle opposizioni, con acrobatiche giravolte trasformistiche, dalle assenze di comodo ai mutamenti di casacca in cambio di favori personali e poltrone di prestigio, fino ai voti di fiducia quali vere e proprie “ghigliottine” avallate dai presidenti dei due rami del Parlamento.
Tutto ciò, come se la Costituzione Italiana e le Istituzioni Repubblicane fossero delle suppellettili di proprietà esclusiva di pochi oligarchi e, come tali, da usare a loro piacimento e tornaconto. Ma la Costituzione e le Istituzioni non appartengono ad alcuno se non al popolo e, debbo aggiungere, al popolo sovrano!
E non è finita qui. Il massimo della prepotenza, Renzi l’ha raggiunta quando ha voluto trasformare il referendum in ricatto: “O me e la riforma o il caos e l’instabilità politica”, sempreché si voglia prendere sul serio un simile proclama da parte di uno che non eccelle certo in coerenza ed eccede, invece, in spregiudicatezza. La politica non è questo, soprattutto non questo è il primato della politica, bensì quello delle minacce, dei ricatti, degli allettamenti e delle adulazioni.
Nemmeno, inoltre, è lecito scrivere di “governo costituente” tenuto conto che, in una sana e moderna democrazia, non è al governo attribuito il compito di redigere o modificare la Legge Fondamentale dello Stato, quanto piuttosto al Parlamento. La storia insegna che sono i governi dei “cacicchi” e dei “colonnelli golpisti” quelli che, una volta preso il potere, si danno una costituzione a propria immagine e somiglianza: una costituzione non come patto sociale a garanzia della libera e civile convivenza , ma come strumento armaiolo del potere di cui si sono impadroniti. Solo il popolo e la sua legittima rappresentanza, in democrazia, sono “costituenti” mentre i governi, espressioni di parte e non del tutto, non posseggono affatto la legittimazione a legiferare in nome e per conto del popolo stesso.
“Ad abundantiam”, è di tutta evidenza di come la conclamata riforma tragga invece la sua origine da scelte di unilateralità tecnocratica finendo con lo svilire il referendum, sì o no confermativo, alla stregua di una qualunque campagna elettorale durante la quale il governo, temporaneamente in carica e oltretutto non democraticamente eletto, farà senz’altro valere il “plusvalore” che accompagna sempre coloro che dispongono del potere, complice anche un sistema d’informazione pubblica ormai quasi completamente allineato e appiattito sulle posizioni governative.
Vi sarà, per di più e senza dubbio alcuno, chi affermerà che aver posto mano alla revisione costituzionale ha in sé il solo significato, e non altri, di voler razionalizzare i percorsi decisionali e renderli così più spediti ed efficienti. A codesto qualcuno, mi sento di rispondere che, se di razionalizzazione si debba discutere, allora si tratterà di avviare un dibattito su una trasformazione essenzialmente incostituzionale la quale, a detta dei maggiori giuristi italiani, rovescerà inevitabilmente la struttura piramidale della democrazia. Non più dal basso verso l’alto, ma viceversa!
Le decisioni politiche, infatti e purtroppo da tempo, si adottano esclusivamente nelle alte sfere del potere costituito e vengono imposte per linee discendenti ai cittadini, vessati e indifesi, e persino al Parlamento, umiliato e vilipeso poiché giudicato uno scomodo intralcio al dispiegarsi delle volontà egoistiche delle oligarchie dominanti. In tale contesto, la democrazia partecipativa diviene un orpello ingombrante di cui disfarsi, subito o quanto prima, e conseguentemente gli adeguamenti costituzionali, spacciati per riforma, non sono altro che l’uniformarsi a simile scellerato “nuovo credo politico”. Se Vi farà piacere, ci risentiremo con la quarta puntata.