Di Mario Tiberi
Ricorderete tutti, o quantomeno la maggior parte di Voi, la prima strofa della colonna musicale che accompagnava le avventure televisive di quel fanciullino ribelle ed esplosivo soprannominato Gian Burrasca. Per chi l’avesse dimenticata, ne riporto qui i versi: “La storia del passato, ormai ce lo ha insegnato, che un popolo affamato fa la rivoluzion!”.
Nessuno, nei felici anni sessanta, poteva coltivare il benché minimo sospetto che tali concetti sarebbero tornati di così stringente e drammatica attualità a nemmeno mezzo secolo di distanza.
Già, il lavoro che manca e l’insufficiente sanità ambientale che non significa solamente rigoroso rispetto della Natura, ma anche e soprattutto ambiente culturalmente e moralmente pulito e che richiede profondi cambiamenti dei quali, però, si discute poco o male e di cui, a stento, se ne riescono a trarre dirette e proficue conseguenze sul piano dei comportamenti etici, sociali e politici.
Il lavoro mancante: l’evoluzione tecnologica negli ultimi decenni ha modificato radicalmente i mezzi di produzione, le forme occupazionali, i cicli produttivi, favorendo, in tal guisa, il decentramento industriale e la creazione di enormi spazi, incontrollati e privi di normative, dove hanno potuto sguazzare a loro arbitrario piacimento i movimenti di capitale e la finanziarizzazione dell’economia. La contraddizione, perché di vera e propria contraddizione si tratta, è che codesta rivoluzione ingenerata dall’avanzarsi delle moderne tecnologie, essendo rimasta concentrata nelle mani di ristrette oligarchie e gestita con logiche di mercato legate ad interessi egoistici, ha finito ad esser leva per la riduzione e la precarizzazione del lavoro, per lo spostamento di ingenti risorse economiche dai salari verso iniqui profitti e rendite parassitarie, per la concentrazione e passaggio del potere decisionale dalla politica (Parlamento e Istituzioni) ai cartelli mondiali dell’alta finanza. Di tutto ciò ne stanno subendo tragici contraccolpi diffusamente un po’ tutti, uomini e donne, in particolar modo i giovani.
L’ambiente negletto: Madre Natura, madre proprio perché ogni essere vivente è da essa generato, offesa e schiaffeggiata dai suoi stessi figli sta colpendo indiscriminatamente colpevoli e incolpevoli. L’aria, l’acqua, il verde delle foreste sono minacciati e la minaccia, da severa vendicatrice, assume le sembianze dell’inquinamento, della siccità, delle alluvioni, del dissesto idro-geologico che innumerevoli disastri hanno provocato nello ieri recente ed anche nell’oggi. Di altra contraddizione è d’uopo dibattere: la contraddizione ecologica è pervenuta infatti a tali limiti di intollerabilità che, se non si organizzano e si realizzano contromisure valide ed efficaci, ulteriori catastrofi naturali è lecito attendersi quale giusta punizione di una madre austera nei confronti di figli discoli e dissennati. Di detta contraddizione e della sua potenziale devastante perniciosità non si ha, però, compiuta consapevolezza.
L’epoca nella quale siamo immersi è stracolma di rischi, di ansie, di preoccupazioni ed affanni per i quali l’unico rimedio vincente va ricercato in una sana politica di sostanziale rinnovamento della coscienza democratica e civile e che tenda al superamento effettivo dell’individualismo esasperato, del consumismo sfrenato, degli stili di vita non improntati a sobrietà, di una economia di mercato senza finalizzazioni comunitarie, senza regole precise ed onorate, senza responsabilità sociale e senza responsabilità ambientale.
Un siffatto superamento non può che poggiare su due basilari principi di orientamento etico: la tutela ad oltranza della dignità della persona umana attraverso la pratica diuturna del diritto al lavoro e la difesa strenua dell’ambiente naturale perché solo così, a strumento di esse, si può fornire agli esseri umani, senza distinzione alcuna, la certezza del vivere, il sentirsi indipendenti e liberi, il crescere intellettualmente, il costruirsi relazioni sociali e culturali su fondamenti di parità e di solidarietà vicendevole al di là di ogni confine.
E’ in tale direzione che possiamo convenire con Hegel che, attraverso il lavoro e la naturalità, “l’egoismo soggettivo si converte nell’appagamento dei bisogni di tutti gli altri” e, così, inalare ossigeno per un sacro patto generazionale al quale ambire e da stipulare senza indugio: l’esperienza e la saggezza accumulate dai più anziani offerte a supporto dell’originalità e vivacità tipiche della giovanile esuberanza.
Il presente, nella sua essenziale fugacità e mutazione, può divenire in tal maniera il punto d’incontro tra passato e futuro, tra tradizione e innovazione: il presente è invero un attimo quasi inafferrabile dall’umana percezione, ma può anche essere un attimo prezioso di congiunzione e continuità.
Non si lasci che l’indifferenza cancelli il passato e impedisca il futuro: l’indifferenza, assieme alla noia, è la paralisi del tempo. E’ un eterno presente infecondo perché sempre uguale a se stesso!