Bruno Broccatelli classe 1932, è morto la notte scorsa. Questo il ricordo di Gianni Marchesini:
Il mio primo slogan compreso di bozzetto che rappresentava un pettine su fondo rosso disegnato dal mio socio Paolo Velluti diceva: “Datemi un capello ne farò una chioma”. Era il 1973 e Bruno Broccatelli, forte di quello slogan, aveva aperto il suo negozio di parrucchiere per il Corso Cavour. Il giovane Bruno era stato il batterista dell’orchestra Arcobaleno che si esibiva nelle estati degli anni ’50 al “Pino”, dentro quel giardino fresco con un grande pino al centro accucciato dietro l’attuale Banca nazionale del Lavoro.
Suonava un sestetto con Bruno alla batteria, Marcello Marziantonio detto La Pulce e Montanucci al sax, Burli il professore al piano, Cortoni Eraldo al contrabbasso, Ladi alla chitarra e Carlo Vio nel suo perenne completo bianco colore palla di biliardo cantava con i capelli impomatati ammiccando alle signore: “Veleno…nei miei baci ti do il mio veleno…una rosa scarlatta sul seno… e poi t’ameròò”…che non si sa quant’erano porci i sottintesi delle canzoni anni ’50!
Prima di aprire quel locale stretto e un po’ angusto lungo il Corso, Bruno era il più giovane dei tre barbieri che avevano il negozio giù a metà cordone, uno si chiamava Stelvio e l’altro Edmondo. Lì si facevano le barbe: grandi impomatate, interminabili arrotature della lama sulla pietra che ormai i rasoi erano nuovi mica come nel dopoguerra che avevano tutti le tacche dell’usura prebellica cosicché il povero barbiere Duranti in Via del Duomo, appena superata miracolosamente la basetta con Peppetto (così chiamava il suo rasoio), tagliò il povero Nasa con la tacca assassina e mortificato gli chiese: “T’ho fatto male?” e il pòro Nasa, guardando il sangue raccolto con le dita: “Che voi che sia, ho fatto cinqu’anni di prigionia”.
Per i rari lavaggi dei capelli ti mettevano quella specie di disco volante di gomma con la testa a scapicollo dentro il lavandino con lo stesso piglio del boia e ti menavano per un paio di minuti ché gli uomini, seppur barbieri, avevano l’obbligo de la rudezza tant’è che spesso il malcapitato sbottava: “E che è, manco t’avessi scopato la moje! Un’altra specie di tortura proseguiva con il phon che ti sfarfallavano sopra la capoccia chissà perché grattandotela con le unghie infilate nella carne in modo che uscivi con i capelli cotonati tale e quale a Orietta Berti. Bruno, estroverso, simpatico, visionario, mordeva il freno: covava il grande salto. Quando aprì il negozio lungo il Corso, i phon erano quelli con la sordina che sembravano la tromba di Dizzi Gillespie, c’erano le nozioni rinfrescanti, ricrescenti, rinfoltenti, rimollienti e giravano creme clandestine che arrivavano da Roma per lo stiraggio dei capelli ricci o crespi.
Andavano i pantaloni a zampa di elefante, le camicie a fiori, i maglioni corti, i maxi cappotti e i capelli lunghi lisci che dovevano alzarsi al vento o accompagnare i movimenti della testa come quelli dei Dik Dik o dei Betles e anche, per gli inurbati dal suburbio allora nascente, di Mal dei Primitives.
E’ inutile illudersi: l’unica, la vera rivoluzione di quegli anni finto-rivoluzionari fu che il vecchio “barbiere divenne il “parrucchiere per uomo”. Bruno fu il primo. Piazzò anche un emanatore di vapore appeso alla parete per la pelle del viso, utilissimo per essere accusati di omosessualità, (i tempi erano quelli che erano) in fondo, ma il vapore invadeva tutto il locale così chi entrava diceva: “C’è nebbia oggi da Broccatelli”. Quando era acceso tutti godevano dei benefici del vapore pensando a quanto fosse coglione quello che pagava soltanto per starci seduto davanti.
Bruno era l’uomo più svagato del mondo. Sembrava l’omino volante di Chagal. Un giorno arrivava con due cinture, l’altro con le scarpe di due colori, per non parlare della mattina che si presentò a bottega con il sacchetto delle immondizie in mano al posto di quelo degli asciugamani. Non sazio della cartolina con il mio slogan, volle piazzare un gran cartello di compensato al campo sportivo di Via Roma dove stava scritto: “Bruno Broccatelli, parrucchiere per uomo diplomato” e lui stesso ci spinse, non potendolo evitare, a presidiare la porta del negozio dove soprattutto Antonio Barberani bloccava il cliente in entrata con la domanda: “Te che scuola hai fatto?”. Se la risposta era: “terza media” (e ce ne erano a quel tempo) : “Mi dispiace” diceva: “Questo è un negozio soltanto per uomo diplomato: ragioniere, geometra, terzo liceo.”..Bruno usciva con i phon e le forbici in mano e ci metteva il carico: “E’ vero”, faceva: “Qui se uno non è diplomato non pò entrà”.
Tonino fu il primo ragazzino che Bruno assunse e avviò al mestiere. Quasi tutti i parrucchieri di Orvieto passarono da Bruno, buono, paziente, variopinto, astruso, simpatico, pazzo il giusto. A Tonino Bruno disse di arrotolare i capelli con la spazzola e di indugiare su di loro con il phon. Con le creme che portavamo da Roma, per di più artigianali e quel trattamento di spazzola e calore ci caddero in poco tempo tutti i capelli. Quel giorno Tonino mi passava il phon appena sopra le orecchie e talvolta me le ustionava con il calore cosicché gli dissi: “Tonì, famme ‘l favore, l’orecchie lascimele ricce”. Bruno era vecchio che ancora me la ricordava quella battuta quando posò tutto sulla mensola e andò a ridere fino alla piazza.
Passarono in quello stretto budello oltre a Tonino, Aldo, Fernando, Sandro, poi Marcello Meffi cinque ragazzi allora che Bruno con la sua sorniona, competente semplicità istradò per essere, oggi, i migliori parrucchieri di Orvieto. Che gli vollero bene come a un padre.
Lo sai Bruno che proprio Marcello Meffi m’ha chiesto di scrivere queste cose per te e io l’ho fatto volentieri perché sei stato un pezzetto della mia vita e ti ho perdonato se dentro quel negozio giacciono tutti i miei capelli?
Ciao Bruno, nostro caro amico, parrucchiere per uomo diplomato. Con il tuo curriculum, il tuo cuore, è facile che il Padreterno i permetta di dargli una spuntatina alla barba.
Gianni Marchesini.