di Valentino Saccà
Ormai il giorno del ricordo è doverosamente sentito come una ricorrenza da celebrare diffusamente, dopo essere stato istituito per legge nel 2004 come solennità civile nazionale italiana. La luttuosa vicenda che vede nella seconda guerra mondiale i profughi provenienti da Fiume, dall’Istria e dalla Dalmazia vittime delle foibe, per complessi motivi legati ai confini orientali.
Nella mattinata del 13 febbraio presso la sala del governatore a palazzo dei sette, la città di Orvieto accoglie, con commosso rispetto, figli e nipoti dei profughi istriani, dalmati e fiumani, creando una grande sinergia emotiva che si è riverberata magicamente in tutta la sala del convegno, diffondendo una luce di grande dignità umana.
“Questo tragico tema serve anche a farci riflettere sul contemporaneo – dice il primo cittadino Giuseppe Germani – cercando di trovare un ponte comune tra il passato e il presente”.
“Sono sessant’anni di lotta contro l’oblio e il silenzio di cui si sono occupati scrittori, poeti, letterati e giornalisti”. Commenta la professoressa Marella Pappalardo, moderatrice della conferenza, dando la parola durante lo svolgersi della mattinata ai diversi figli e nipoti dei profughi, i quali hanno dato voce al tema, attraverso il personale ricordo legato ai propri genitori o ai propri nonni. “Io con la mia famiglia me ne andai da Zara, in Dalmazia, nel 1944 prima che venisse bombardata e arrivai ad Orvieto”.
Queste sono le commosse e commoventi parole dell’ex sindaco Toni Concina che ci tiene a precisare che il vero problema è sempre stato legato alle terre di confine in cui dovrebbero convivere culture diverse. “Io e la mia famiglia venivamo chiamati dispregiativamente i banditi Giuliani (come il noto criminale) e invece di venire accolti venivamo emarginati – esclama Antonio Ballarin presidente della federazione esuli – oggi dobbiamo continuare a battere i pugni e a sottolineare i diritti che ci sono stati un tempo negati”.
“Sono un profugo di terza generazione – dice il professor Davide Rossi – avevo 15 anni quando la Jugoslavia si disgregava e la mia famiglia si è stabilita prima a Padova e poi a Verona”. Queste testimonianze provano che figli e nipoti di profughi istriani e dalmati oggi, grazie alla loro pervicacia e determinazione, sono arrivati ad ottenere dei risultati di pieno inserimento ad alti livelli all’interno del tessuto sociale e lavorativo nazionale. L’intensa ed emozionante tavola rotonda si è conclusa con il mirabile video realizzato dalla docente Marella Pappalardo in collaborazione con le sue allieve del liceo, lavoro frutto di un approfondito viaggio nei luoghi del ricordo.