di Mario Tiberi
Alcuni mesi orsono, di pomeriggio e come spesso mi accade, ho soffermato il mio incedere dinanzi ad una delle librerie di città e ho iniziato a sbirciare tra i volumi esposti in vetrina. La mia attenzione è stata attratta da un titolo alquanto inusuale, “ La scoperta del giardino della mente”, e accanto all’attrattiva si è pure scatenata una robusta dose di curiosità. Non me lo sono domandato due volte e, dando fondo agli ultimi spiccioli che mi erano rimasti in tasca, ho acquistato l’opera letteraria in questione.
Ad essere sincero, non l’ho letta tutta d’un fiato; anzi, per lungo tempo, l’ho tenuta sul comodino della mia camera da letto e, ogni tanto, ne scrutavo una pagina alla mattina, una o due alla sera, come fossero delle pastiglie da assumere ad intervalli più o meno regolari. Andava riflettuta e ripensata perché di argomenti su cui pensare e riflettere ve ne erano in abbondanza e, alla fine, ho ammesso a me stesso che si era rivelato un ottimo farmaco per il mio intelletto e per il mio Spirito.
“La scoperta del giardino della mente”, autrice Jill Bolte Taylor, racconta la storia autobiografica di una ricercatrice e neuroscienziata alla quale, a soli trentasette anni, esplode all’improvviso un capillare nell’emisfero sinistro del cervello che le provoca una copiosa emorragia con conseguente danno cerebrale devastante. Scrive la Dottoressa Taylor: “Nelle quattro ore successive, con gli occhi esperti di una neuroanatomista, assistetti al crollo completo della capacità della mia mente di elaborare, indurre, dedurre e concettualizzare. Non riuscivo più nemmeno a camminare, parlare, leggere, scrivere o ricordare eventi della mia vita”.
La protagonista della storia, però, non è tipo da arrendersi tanto facilmente: stringe i denti, si appella a tutte le sue residue risorse ed intraprende una avventura verso la guarigione durata otto anni, nel corso dei quali sperimenterà il doppio ruolo di medico e paziente e incorrerà in mille occasioni di meditazione sul chi siamo, come agiamo, dove andiamo.
La scienziata-scrittrice, dopo l’ictus, non è più stata la stessa di prima: è diventata una persona migliore perché, mentre l’emisfero sinistro del suo cervello era fuori uso, si è applicata a chiedere il massimo a quello destro e, così, ha scoperto la pace, il senso di comunione con la Natura e l’Universo, il potere delle emozioni e del distacco da esse, il saper discernere tra ciò per cui vale la pena di vivere e ciò che non lo merita. Onde intenderci, l’emisfero destro è quello della creatività e delle intuizioni; il sinistro è quello analitico e razionale.
L’esperienza vissuta dalla Dottoressa Taylor dimostra che la razionalità pura, da sola, non copre tutta l’immensa distesa della realtà e la medesima, dopo essere pervenuta a guarigione, ha sì ricominciato ad occuparsi di ricerca scientifica, ma in più ha imparato a cantare, a dipingere, a forgiare sculture in vetro colorato, a scrivere romanzi, felice di vivere e irrobustita da una nuova pace e forza interiore.
Una pazza, una delle tante sciroccate che dicono di aver visto la luce, starete pensando?… Me lo posso ben immaginare, ma non è così! Una donna, invece, che ha saputo conquistare la saggezza e che, sulla sua pelle, ha pagato fino in fondo il prezzo della conoscenza di come si possono disattivare i perversi circuiti dell’ira, dell’invidia rabbiosa o della frustrazione ed attivare, al contrario, quelli della gioia e della felicità cambiando le sorti della propria vita e, di conseguenza, il mondo che gira attorno a noi.
“Gratia et Amore Dei”, non ho subìto la sventura di un malanno grave come quello di Jill Taylor ; comunque la di Lei disavventura mi ha aperto gli occhi al punto che mi sono chiesto: Mario, ma le tue battaglie per la verità e la legalità sono il frutto della ricerca di un uomo lucido o di un delirante, di un folle visionario o di un essere raziocinante?
Mi sono risposto che, senza verità, non vi è giustizia e, senza giustizia, non vi è libertà. Onde per cui se, sull’altare della verità, debbano essere sacrificate le valenze della mia cultura, della mia sensibilità e della mia passione per la vita pubblica, da alcuni derise e sbeffeggiate, sulla mia pelle sono pronto ad affrontare l’inglorioso autodafé e a pagarne il prezzo fino all’ultimo centesimo.
Preferisco infatti, e di gran lunga, una seppur striminzita legittimazione morale e culturale piuttosto che una piagnucolante, elemosinata, effimera e illusoria carriera politica.