di Mario Tiberi
Scriverò, ciò che andrete a leggere, in forma di epistola indirizzata alla sensibilità di cuore e d’intelletto di un Amico e, tramite la di Lui intelligenza, alle intelligenze di altre Amiche ed Amici ed anche di quelle e di quelli che non lo sono.
“Diletto Pier Luigi,
mi conforta il sapere che le mie digressioni sulla libera ed onesta partecipazione alla vita pubblica hanno in Te trovato accoglienza ed approvazione. I Tuoi consigli e pur la Tua preghiera di approfondimento in materia, mi spingono ad avventurarmi in un terreno mai da me esplorato quale quello, però essenziale e fondamentale, della suprema fra tutte le libere e corrette esplicazioni dell’umana attività: intendo riferirmi alla libertà morale.
Volendomi ricollegare, come da Tua preziosa indicazione, alle Beatitudini contenute nel Discorso della Montagna, non può non balzare alla ribalta del mio pensiero il vocabolo Discorso. In latino Verbum, ma ancor meglio in greco antico Logos come pure Archè, il Principio del tutto.
Logos racchiude in sé una miriade di significati quali, solo per citarne alcuni, ragione, esposizione verbale, rappresentazione concettuale, discorso, parola, dialettica, ma anche e soprattutto iniziativa ed azione. Ed ecco che allora, alla luce del principio che la Fede senza le Opere è virtù infeconda, la prima delle Beatitudini, e cioè il proclamare che saranno Beati e dunque Felici i Poveri in Spirito, diviene il cardine su cui poggiare l’intera galassia della Libertà morale, o meglio ancora, dell’Etica applicata alla estrinsecazione di tutte le altre libertà.
Nell’oggi, del resto, l’aggravarsi e l’accentuarsi della decadenza etica nei comportamenti pubblici, di pari passo a quelli privati, mi inducono a riprendere il filo di un ragionamento già avviato sulla scia, anche, delle mie più recenti riflessioni contenute nel saggio titolato “Il modello De Gasperi”.
Se chiunque coinvolto nel malcostume, incautamente o per superficialità, possa pensare anche solo lontanamente di poter sfuggire, quanto meno, al biasimo collettivo per le proprie malefatte, si sbaglia di molto; per parte mia, in virtù di pace e quiete di coscienza, continuerò a prodigarmi affinché sempre in alto sia tenuto il grado della vigilanza democratica e della non dispersione nella smemoratezza dei fatti e degli atti contrari alle norme dell’Etica e a quelle della Legge.
“Gutta cavat lapidem!”; vale a dire che, sotto l’incalzare del piccone, anche le pietre più resistenti si sgretolano.
Sono altresì ampiamente consapevole che l’alzare l’indice e il puntarlo contro corrotti e corruttori possa aprire la strada al rischio di essere tacciato di facile moralismo o, ancor peggio, di falso moralismo qualora, ad una sana professione di moralità, si lasci spazio ad un calcolato esercizio moralistico di maniera a corrente alternata. Ma è un rischio che mi sento di correre a tutto tondo!.
Oramai risulta chiaro all’intelligenza di ogni onesto cittadino che le tradizionali formazioni politiche hanno invaso e occupato ogni settore – enti, banche, aziende, radiotelevisione e quant’altro – ed esercitano tutti i mestieri, tranne il loro, cosicché non funziona più nulla, nemmeno la politica. Tale realistica constatazione ci assilla da circa un trentennio e già, sul finire degli anni settanta del secolo scorso, fu scontro acceso tra coloro che sollevarono, per primi, la “Questione Morale” e coloro che la negavano.
L’unica colpa che, a posteriori, si può addossare a quelli che sostennero la necessità di “fare pulizia” risiede nella circostanza che, guardando solamente in casa d’altri, sfuggì loro quasi del tutto lo sporco che albergava in casa propria. Proprio ciò che avviene anche nel presente dell’oggi.
Così certo, continuando a far finta di niente, non si può andare avanti. La corruzione seguita a trionfare, apparentemente inarrestabile, ad ogni livello amministrativo e in ogni anfratto pubblico dove la politica, quella maldestra e truffaldina, riesca ad infilare la sua mano lesta.
Del resto, il significato politico della attuale avvilente congiuntura è di tutta evidenza per chi ha ancora occhi per vedere e orecchi per sentire. L’Italia si è data un sistema che offre troppi spazi ai partiti, i quali hanno finito per abdicare ai loro doveri istituzionali trasformandosi in associazioni che puntano a tutto, anche e specialmente all’arricchimento individuale e alla spartizione delle poltrone di comando, tranne che al bene comune. Se ne “infischiano” altamente degli interessi nazionali; pensano ai propri, primo fra i quali, il mantenimento a tutti i costi del potere raggiunto e da non cedere ad altri per nessuna ragione al mondo: la politica non più come servizio, ma come carriera professionistica da cui trarre benefici, privilegi, condizioni di favore o come “refugium peccatorum” per falliti, inetti, incapaci o, peggio ancora, per veri e propri malavitosi.
Da qui, dalla palude del malcostume, al furto delle coscienze il passo è davvero breve: la linea di demarcazione tra lecito e illecito sta divenendo sempre più labile e a furia di parlare, spesso a sproposito, di moralità non praticate, le stesse si sono svalutate al punto da svanire in una sorta di dissolvente evaporazione tanto da non saper più distinguere ciò che è morale da ciò che non lo sia.
La malapolitica è in procinto di defraudarci anche della semantica ma, chi ruba, dovrà ineluttabilmente saldare fino in fondo il suo conto debitorio con la Giustizia, nel nome delle leggi scritte e massimamente di quelle naturali ed etiche, une, indivisibili, innegoziabili, immutabili, universali in quanto ecumeniche, eterne, indipendenti dal tempo e dallo spazio.
Con la fervida speranza di aver, almeno in parte, appagato la Tua per me insostituibile rapportazione umana ed intellettuale, Ti saluto alla maniera dei nostri Padri: Si vales, bene est; ego valeo”.