ANCHE I GRILLINI SONO TERRESTRI: FANNO COME GLI ALTRI, PER CONTARE QUALCOSA
Caro Leoni,
come ricorderà, l’on. Di Maio, autorevole esponente della troika pentastellata, per diventare vice presidente della Camera e così avere un ruolo in parlamento dovette ricorrere ai voti del Pd. Un atto di realismo. Ora leggo che anche il parimenti pentastellato Jacopo Berti, una volta eletto consigliere regionale del Veneto contro il leghista Luca Zaia è stato nominato vice presidente della potente Commissione Sanità con i voti proprio di quei leghisti che aveva sfidato. Anche questo un atto di realismo, che egli ha giustificato con la seguente dichiarazione: “Ci siamo candidati per cambiare le cose e per cambiare le cose si deve essere lì dove si manovrano le leve dell’amministrazione”. Sembra dunque che anche per i politici grillini, almeno quando sono capi, non valga il principio di non contaminazione con quello che loro ritengono l’universo dei malvagi e dei corrotti e valga invece quello realistico della convenienza. Sarà la spia che anche i grillini si stanno accorgendo di essere terrestri?
Antonietta L.
Cara Antonietta, i grillini non sono extraterrestri, ma semplicemente dei terrestri impegnati in un movimento che si trova ancora nel suo stato nascente. Vale a dire in quella fase di entusiasmo che caratterizza le aggregazioni umane che vogliono cambiare il mondo. Un movimento nasce da un giudizio negativo della realtà, dalla fiducia nella possibilità che la realtà possa essere cambiata e dalla convinzione di possedere la ricetta per il cambiamento. Sono i movimenti che dinamizzano le società umane, con esiti che possono essere i più vari, comprese le grandi tragedie della storia. Se non ci fossero i movimenti, vivremmo in società statiche come quelle preesistenti alla grandi civilizzazioni. Gli aspetti negativi della società in cui viviamo ci portano alla rassegnazione, o alla nostalgia per lo stato di natura, o all’impegno per mettere le cose a posto, scossi da capi carismatici, o da dottrine che ci sembrano illuminanti, o da entrambe le cose. Il movimento cinque stelle ha il suo capo carismatico e una dottrina piuttosto sommaria: la classe politica è degenerata e bisogna sostituire i puri agli impuri, ma usando il metodo democratico, perché le rivoluzioni cruente creano più problemi di quelli che risolvono. Da qui deriva la ferma volontà dei grillini di non confondersi con gl’impuri mediante alleanze e compromessi, ma di usare i voti degli impuri per occupare cariche istituzionali e per far passare alcune proposte, in attesa della conquista del governo nazionale. Non posso sapere come andrà a finire, ma non mi dica, cara Antonietta, che lo spettacolo non è interessante.
A QUESTO PUNTO FORSE A GERMANI CONVIENE IMITARE I SINDACI DELLE GRANDI CITTÀ
Caro Leoni,
ha visto la moria dei vice sindaci delle grandi città? In particolare le dimissioni della De Cesaris, vice di Pisapia e assessore all’urbanistica di Milano? Pare che non abbia digerito, lei intransigente ambientalista tutta protesa alla riqualificazione territoriale, scelte importanti sostenute da buona parte del Pd, tipo la costruzione del nuovo stadio del Milan. Si mormora da tempo che anche il (la) vice sindaco di Orvieto se ne voglia andare. Ma in questo caso non c’è di mezzo l’urbanistica, e tanto meno la riqualificazione, vista la perfetta stasi che regna in questo come in altri settori. Che sarà allora? Una moria di categoria?
Adalberto S.
Lei sa, caro Adalberto, che, negli anni 2009-2014, ero un consigliere comunale che sosteneva l’amministrazione del sindaco Toni Concina. Gli assessori duravano lo spazio d’un mattino e il fenomeno era motivo di derisione da parte della sinistra e d’imbarazzo da parte della destra. Riflettendoci dopo qualche anno, mi viene di consigliare al sindaco Germani un po’ di sana movimentazione delle cariche di giunta.
CHE DELUSIONE, LA GRECIA NON VUOLE SPERIMENTARE LA NOSTRA BELLA RIVOLUZIONE ANTIEUROPA E ANTIEURO!
Caro Barbabella,
il tormentone della Grecia sembra finito, almeno per qualche anno. Così abbiamo perso l’occasione di sperimentare che succede se uno Stato con economia debole rinuncia all’euro. La sovranità monetaria porta alla catastrofe o dà slancio all’economia? Io non ne ho idea e non sono riuscito a farmela nemmeno leggendo e ascoltando tutto e il contrario di tutto. Lei ci è riuscito?
Giuseppe T.
Caro Giuseppe, sembra proprio che in più d’uno dovrete aspettare qualche altra occasione per vedere sperimentate sulle spalle di altri le vostre teorie simileconomiche. Credo che il più deluso di tutti sia Serge Latouche, l’accademico francese inventore della teoria della “decrescita felice” che ha affascinato tempo fa non solo i grillini, il quale nei giorni in cui l’uscita della Grecia dall’euro sembrava cosa inevitabile se ne è uscito con una entusiastica dichiarazione sulle prospettive di felicità che così si stavano preparando per il popolo greco: meno consumi, vita più magra ma meno stressata, ecc., un esempio della strada che tutti noi dovremmo percorrere. Ma Beppe Grillo lo dovrebbe seguire a ruota, se ancora poche ore fa in un’intervista al Financial Times dalla Costa Smeralda (dove dicono che la brutale realtà che colpisce le persone realmente umane si percepisca con serafico distacco) ha detto che il ritorno alla dracma sarebbe per la Grecia voler essere “il paradiso della terra”. Guardi, detto tra noi, queste teorie, che sembrano un pò bislacche, a qualcosa servono: potendo anche apparire critiche giustificate alle ingiustizie e alle contraddizioni delle società capitalistiche, oltre a conferire ruolo accademico, massmediatico, e talvolta perfino politico, a chi le professa, e ovviamente ad impinguarne il conto in banca, servono solo a creare momentanei entusiasmi reattivi in alcune menti disposte a rinunciare al gusto della riflessione. Questo glie lo concedo, però non mi chieda seriamente se ci sono altre ipotesi teoricamente fondate su vantaggi e/o svantaggi derivanti dalla fine dell’euro e dal ritorno alle monete nazionali, e quali possano essere in tal caso i destini differenti delle nazioni ad economia forte o ad economia debole. In verità nessuno lo sa, tanto meno gli economisti, che al massimo, quando sono bravi, sono in grado di rendere piacevole la lettura di un quotidiano o l’ascolto di una trasmissione radio o tv. Nessuno lo sa semplicemente perché le vicende dei popoli e degli stati non si sperimentano in vitro, e sperimentarle nella realtà probabilmente costa troppo. Soprattutto oggi, nel mondo globalizzato. Tsipras ha fatto studiare la cosa e vi ha rinunciato. Credo che lui sia più intelligente e comunque più responsabile di fronte al suo popolo non solo dei vari Latouche, dei Grillo e dei destri e sinistri cultori di improbabili rivoluzioni operate da altri su loro commissione, ma più intelligente e responsabile anche di chi teorizza ed opera disgraziate distruzioni di edifici difettosi si ma frutto di un lavoro di generazioni che per esse hanno dato il sangue, edifici che appunto vanno cambiati, migliorati, completati, ma non certo distrutti.
EBBENE, DICO NO ALL’ANZIANO AD UNA SOLA DIMENSIONE!
Caro Barbabella,
è un bel po’ che si parla di orti amatoriali, cioè di piccoli terreni agricoli messi dal Comune a disposizione dei cittadini per occupare proficuamente il tempo libero. Ma gli orti amatoriali non decollano. Invece, girando nel centro di Orvieto, nei sobborghi e nelle frazioni, e frequentando i circoli per anziani, vedo tante persone che amano impiegare il tempo libero giocando a carte, chiacchierando del più e del meno o addirittura sedendo sulle panchina a rincorrere lugubri pensieri. Mi vengono in mente i versi di Claudio Baglioni: “I vecchi che non sono mai cresciuti / i vecchi anima bianca di calce in controluce / occhi annacquati dalla pioggia della vita / vecchi soli come i pali della luce /.e dover vivere fino alla morte che fatica.”
Luigi P.
Non mi piace questa descrizione impietosa degli anziani che ne fa Claudio Baglioni. È la sua visione, e come spesso accade nella mente di artisti, e di tanti altri che non sono nemmeno artisti, una visione individuale spesso viene trasformata in una visione universale. Ma le condizioni della vita sono sempre individuali e possiamo parlarne in termini universali solo per utilità statistica o per adottare provvedimenti che risolvono problemi a maglia larga dentro cui, in ogni caso, ciascun interessato si collocherà a modo suo. È vero, gli orti sociali ad Orvieto non decollano. So però che se ne sta occupando il coordinamento delle associazioni che collabora con l’amministrazione comunale per la realizzazione del Parco urbano del Paglia, e certo qualcosa si farà, anche se non saprei dire quando e come. Ma comunque sarà bene non aspettarsi chissà quale miracolo. In verità io non penso sia negativo anche il modo di passare il tempo che lei descrive per gli anziani che giocano a carte o bighellonano o parlano e sparlano sulle panchine del corso o di non so dove. Non tutti possono o vogliono fare l’orto: c’è chi si accontenta di due pomodori coltivati in un vaso da fiori, c’è chi da pensionato, potendolo fare, diventa agricoltore, c’è chi coltiva l’orto per conto terzi e poi va a giocare a carte. Insomma, ci siamo di tutti i tipi e di tutte le condizioni. Sarebbe per questo molto importante che magari si facilitasse sia l’esistenza che l’accesso alle opportunità differenti, ma senza pensare all’anziano ad una sola dimensione.
Perché il dramma della Grecia non parla solo greco
di Franco Raimondo Barbabella
Che il mondo sia caratterizzato dal cambiamento oggi è semplicemente un’evidenza. Non lo era quando 25 secoli fa lo teorizzò Eraclito di Efeso, e nemmeno quando nacque la scienza moderna né quando nell’ottocento in modi diversi si cercò di fissare il motore immobile del cambiamento: il mercato, le classi sociali contrapposte, la scienza.
Il mondo oggi cambia sotto i nostri occhi, e di esempi ce ne sono quanti ne vogliamo, grandi e piccoli, vicini e lontani: Obama che fa la pace con Cuba e con l’Iran, una sonda che ci fa vedere da vicino il lontanissimo Nettuno, la crisi dei sindaci e dei governatori telestar e perfino del renzismo rottamante. Dunque fine delle certezze, le false certezze. E, diciamolo, conquista di una sana, salutare insicurezza. Insomma, sappiamo finalmente che il cambiamento non è necessariamente miglioramento ma nemmeno necessariamente pericolo di peggioramento: possiamo esserci, possiamo capire meglio, possiamo orientarci, in una certa misura possiamo scegliere, possiamo perfino gestire qualcosa, chi più chi meno. Certo bisogna rischiare, bisogna avere lungimiranza e coraggio, bisogna “conoscere per deliberare”.
Il dramma della Grecia in questo senso ci dice molto e non è scritto solo in greco, antico o moderno. Al momento in cui scrivo (sabato scorso) sembra che diversi pezzi del mosaico del lungo percorso di una possibile soluzione stiano andando al loro posto. Chi l’ha spuntata, dei due protagonisti che in questa fase si sono dati molto da fare con idee abbastanza diverse sul migliore esito possibile, il presidente Hollande con la sua idea di un’Europa politica o la cancelliera Merkel (spinta dal suo inflessibile scudiero Schäuble) con quella di un’Europa delle regole rigide? Nessuno dei due in realtà, perché l’Europa politica è ancora tutta da costruire e anche Hollande ne è timidissimo interprete, e l’Europa delle regole è solo una finzione, perché, come si è visto, sono regole contraddittorie (come si concilia quella della non ristrutturazione del debito con quella del non-exit?) che, se non interpretate, producono disastri. Credo si possa fondatamente sostenere che da loro non sono venuti né i veri cambiamenti del momento né le indicazioni per il futuro, anche se dal combinato disposto delle loro posizioni alla fine è venuta la soluzione che dà il via al terzo programma di aiuti.
Probabilmente le vere indicazioni di cambiamento sono venute da altri, dalla presidente dell’FMI Christine Lagarde (che, interpretando anche gli interessi geopolitici USA, ha detto che il debito greco va ristrutturato, dilazionandolo in trent’anni per dar modo al paese di risollevarsi e onorare davvero i suoi impegni), dal presidente della BCE Mario Draghi (che non si è limitato ad erogare un consistente aumento di liquidità alle banche greche senza aspettare il rimborso previsto per lunedi 20, né si è solo dichiarato d’accordo con Christine Lagarde, ma ha detto chiaro e tondo che ormai si tratta di governare il bilancio dell’unione, cioè di passare alla costruzione graduale dell’unione politica) e direi soprattutto da Alexis Tsipras.
Si proprio lui, il primo ministro greco, quello che all’inizio della vicenda, insieme all’allora suo ministro dell’economia, il prode Yanis Varoufakis, sembrava intenzionato a sfidare la cattivissima Europa, quella delle banche e della banda Merkel-Schäuble, e che ora, come dice Claudio Cerasa, folgorato dal “principio di realtà”, si è assunto la responsabilità di trattare la concessione di un nuovo prestito seppure a condizioni ancor più dure di quelle respinte con un improvvido referendum pur di non portare il suo paese al tracollo generale. E così sta costringendo i greci e soprattutto il suo partito a fare i conti con le riforme mai fatte prima per guardare con fiducia ad un futuro possibile dentro un mondo che chiede ad ognuno di assumersi le responsabilità che gli spettano. E nel contempo però costringe l’Europa a fare i conti con se stessa, se vuol essere o non essere Europa, per contare nelle dinamiche del mondo globalizzato e non lasciare i suoi popoli soli di fronte a sfide sempre più difficili. Alexis Tsipras oggi è oggettivamente questo, e anche altro.
Che lo voglia o no infatti, è anche il simbolo più autentico di quella flessibilità che è necessaria per governare i processi di cambiamento del nostro tempo: guardare in faccia la realtà, starci dentro per cambiarla con la forza del pensiero, la generosità dell’animo e il coraggio delle azioni, con l’occhio rivolto all’interesse di tutti e non alla soddisfazione né delle proprie costruzioni ideologiche né del proprio ego ipertrofico. Alexis Tsipras di oggi è la tomba vivente di tutti coloro che di cambiamento parlano senza mai rischiare di farlo sul serio, di coloro che vorrebbero che altri facessero le loro sognate rivoluzioni, di coloro che parlano dei loro paradisi mentali affidandoli ad un improbabile ritorno alle monete nazionali (“se la Grecia torna alla dracma sarà il paradiso della terra”) mentre sorseggiano bibite in un esclusivo golf club della Costa Smeralda.