ORVIETO – A meno di un mese dalla presentazione della progettazione definitiva, emergono nuove perplessità sugli interventi di mitigazione del rischio idraulico del Paglia. Sulle opere in programma, sui tempi stabiliti per realizzarli e con l’incognita (ancora) delle delocalizzazioni. Nel dettaglio.
I lavori. Santa Letizia resta a rischio.
L’associazione Il Ginepro ha già criticato il previsto consolidamento della difesa esistente lungo la Provinciale 48 nella zona di Allerona e Castel Viscardo, oltre che l’approccio poco integrale della progettazione in genere.
Ma un altro intervento suscita adesso perplessità anche maggiori, perché i dubbi non riguardano l’impatto ambientale, quanto proprio l’efficacia della soluzione. Si tratta della cosiddetta “valvola di ritenuta” che è prevista nella coincidenza tra il Paglia e il sistema fognario della zona artigianale e commerciale di Santa Letizia. Qui, come noto, c’è un problema strutturale degli impianti che si trovano di fatto sotto il livello del fiume. Di qui i frequenti allagamenti anche quando i fenomeni non sono così eccezionali.
La Bonifica ha quindi pensato di realizzare questa valvola di ritenuta che, in pratica, in caso di piena, evita che il fiume invada le fogne. Una sorta di saracinesca. Santa Letizia sarebbe così protetta dall’onda di piena. Ma le fogne che ristagnano? In pratica attività e privati rischierebbero non più di andare sott’acqua, ma di essere invasi da ben altro. Una soluzione? Al momento non c’è. Chiudere l’acqua in coincidenza della piena? Sollecitare il Sii o chi di competenza per un intervento che sversi le acque reflue altrove?
I tempi. Ottimistica la previsione del via per l’estate.
Secondo il cronoprogramma reso noto alla conferenza dei servizi di gennaio, i lavori dovrebbero partire con l’estate. A guardare le carte però, la previsione pare decisamente ottimistica, considerando la burocrazia degli espropri e dell’appalto. Progettazione preliminare – Allegato G: piano particelle preliminare di esproprio. Qui, tra prima sistemazione e interventi di mitigazione, risultano da fare 32 espropri per un totale di circa 430mila euro. E che dire poi del bando d’appalto? Senza voler considerare poi il rischio di ricorsi che, visto anche il valore dei lavori, è decisamente alto.
Delocalizzazioni, il caso Arredo Marmi.
Ad Orvieto, a meno di voler cancellare un’intera area artiginale che non doveva semmai essere prevista decine di anni fa, quando si parla di delocalizzazione (soluzione suggerita anche dall’Autorità di Bacino), si parla sostanzialmente di una sola attività: Arredo Marmi. La sua delocalizzazione comporterebbe notevoli risparmi sugli interventi previsti. Ma l’operazione non decolla. E’ complicata e soprattutto allo stato attuale con oneri pesantissimi a carico dei titolari dell’attività che, pur con tutte le agevolazioni del caso (ritenute comunque ancora insufficienti) si troverebbero ad affrontare nuovi investimenti, dopo aver speso a suo tempo 2,5 milioni di euro per realizzare un prefabbricato che oggi, con l’aggiornamento della cartografia del Piano per l’assetto idrogeologico (Pai) che lo classifica in zona fluviale A (nel letto del fiume in sostanza), non vale che qualche spicciolo. E non è solo una questione economica, è che lì proprio non potrebbe stare. Lo spiega bene Danilo Spaccini titolare insieme al fratello Fabio dell’attività. Per loro sembra non esserci una soluzione. (S.T.)