UN’ORSA, UN APETTO E UNA ZINGARA
Caro Leoni,
sono perplessa, guardi, solo perplessa: non capisco i miei connazionali e men che meno i miei concittadini. E mi spiego. L’orsa Daniza non regge alla cattura mediante telenarcosi e muore. Apriti cielo, gli ambientalisti insorgono: delitto, l’hanno uccisa! Il mondo politico è in subbuglio: il ministro all’ambiente si dimetta, la Provincia di Trento scompaia dalla faccia della terra! Gli italiani dimenticano i guai e corrono idealmente al capezzale della morta, il mondo intero si commuove. Ad Orvieto non si è da meno. Due tipi girano per la città con un apetto e vendono aglio e cipolla senza permesso, i vigili li multano e li allontanano mentre una zingara nelle vicinanze chiede l’elemosina senza problemi. Impazza la discussione: che hanno mai fatto di male i due con l’apetto? Perché multarli? Lo spettacolo era tanto carino, ci ricordava la vita di una volta! E invece quella zingara perché la fanno stare lì? Che schifo! Lei si che andrebbe multata e allontanata! Caro Leoni, lei che pensa di tutto questo? È fuga dalla realtà? È confusione culturale? È semplice parla parla? O non vale la pena di pensarci?
Martina
Non posso che ricorrere alla saggezza del mio amato filosofo Blaise Pascal. Egli scrisse che gli esseri umani, per non pensare alla infelicità naturale della loro condizione debole e mortale, ricorrono al “divertissement”, che non significa divertimento, ma distrazione; cioè si occupano di cose futili.
MA INSOMMA, SE HA RAGIONE GNAGNARINI, ALLORA VIVA LA NUOVA AMMINISTRAZIONE
Caro Leoni,
si sarà accorto che il suo amico Dante Freddi ha scritto che sulle tasse, mentre Tardani e Pizzo dicono bugie quando affermano che la nuova amministrazione già fa pagare più tasse, Gnagnarini dice la verità sostenendo il contrario e lo dimostra facendo risparmiare a imprese e famiglie ben quattrocentomila euro. Se è vero questo allora anche lei dovrà riconoscere che l’Amministrazione Germani fa subito meglio di quella di Concina.
Patrizia – Sferracavallo
Per quanto riguarda le tasse, l’amministrazione Germani fa ciò che probabilmente avrebbe fatto l’amministrazione Concina nel contesto legislativo attuale e sempre all’interno della gabbia del piano di riequilibrio pluriennale. La invito a leggere il mio elzeviro su questo giornale: http://orvietosi.it/2014/09/dopo-le-schermaglie-sulle-tasse-che-lasciano-il-tempo-che-trovano-si-arrivera-al-sodo/
I SINDACI CAMBIANO I PICCIONI RESTANO
Caro Barbabella,
i sindaci e le giunte cambiano; ma i piccioni restano. Lei, se rifosse sindaco, quali provvedimenti adotterebbe? Non mi dica che si tratta di un problema irrilevante.
Eleonora
Se lei mi pone il problema vuol dire che almeno per lei il problema esiste e quindi non è irrilevante. In realtà si tratta di un problema serio e antico, presente in Orvieto e in molte altre città, piccole e grandi. Non mi risulta che da qualche parte siano state sperimentate soluzioni rapide ed efficaci, anche perché si sa che si deve tener conto di diversi e contrastanti aspetti. Tuttavia di studi e di interventi programmabili ne esistono in abbondanza. Io e Pier Luigi Leoni ne discutemmo in una delle nostre rubriche alcuni anni fa indicando anche strategie risolutive, ma non sarebbe carino da parte mia oggi far finta di fare il sindaco quando ce ne è uno vero peraltro nuovo di zecca. Posso solo dire che la strategia di Federico II di Svevia è quella che mi convince di più. Il fatto però è che il grande Federico se ne è andato tempo fa. Segnalo solo che ci ha lasciato un raffinatissimo trattato sulla falconeria.
CON QUESTA SEGNALETICA CHI CI CAPISCE È BRAVO
Caro Barbabella,
se lei ritiene che la segnaletica nelle strade di Orvieto sia chiara, bella e completa non mi risponda. Altrimenti le chiedo come lei affronterebbe il problema.
Duccio
Guardi, solo un cieco di mente potrebbe non vedere quello che lei mi segnala. Sicuramente si riferisce alla segnaletica veicolare, ma avrà notato la confusione anche di quella commerciale e turistica. Non parliamo poi di quella culturale. Nella mia attività amministrativa me ne sono occupato a lungo, avendo promosso, sostenuto ed attuato, almeno due piani nel quadro di studi e provvedimenti riguardanti complessivamente il delicato tema dell’arredo urbano. Se vuole, ne può trovare testimonianza nell’ampia documentazione allora prodotta e spero conservata in Comune. In verità me ne sono occupato anche successivamente, quando, essendo ancora consigliere comunale, Jader Jacobelli mi incaricò di proporre l’intitolazione di una via del centro storico a Ermanno Monaldeschi e io presi spunto da questa iniziativa per proporre una revisione di tutta la segnaletica del centro storico facendo dell’elemento turistico-culturale l’aspetto guida di una riqualificazione complessiva. Fu approvata sul tema anche una mia mozione all’unanimità, ma poi, come è evidente, non se ne è fatto nulla. Anche di questo potrebbe trovare ampia documentazione in Comune. A conclusione le posso dire che le città che sanno che cosa vogliono essere hanno anche una segnaletica organica, sensata, efficace rispetto agli scopi che perseguono. Le altre no.
L’elzeviro della settimana
Il merito, un’araba fenice?
Quando sentiamo la parola merito tutti crediamo di sapere ciò di cui si sta parlando e istintivamente ci viene da pensare a qualcosa di bello che però non c’è e forse non ci sarà mai. Perché? Forse perché si tratta di qualcosa come l’araba fenice, l’uccello che secondo il mito rinasce dalle proprie ceneri dopo la morte. Di esso infatti “che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa”.
Ma che cosa si intende normalmente per merito e di conseguenza per meritocrazia? Prendiamo ad esempio la definizione che ne dà l’Enciclopedia Treccani. Merito è “il diritto che con le proprie opere o le proprie qualità si è acquisito all’onore, alla stima, alla lode, oppure a una ricompensa”. E di conseguenza meritocrazia “è una forma di governo dove le cariche amministrative, le cariche pubbliche, e qualsiasi ruolo che richieda responsabilità nei confronti degli altri, è affidata secondo criteri di merito, e non di appartenenza lobbistica, familiare (nepotismo e in senso allargato clientelismo) o di casta economica (oligarchia)”.
Se vogliamo andare alle fonti della moderna cultura meritocratica dobbiamo risalire al pensiero del grande filosofo inglese John Locke condensato nel “Secondo Trattato sul Governo” e a quello di Thomas Jefferson, principale estensore della “Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d’America” e terzo presidente USA (dal 1801 al 1809). Per loro una società giusta deve fondarsi su valori come operosità e merito, che sono l’opposto di ozio ed eredità, come un sistema rappresentativo di tipo repubblicano è l’opposto di uno monarchico e aristocratico, e come i principi di competenza (abilità fondata sul sapere e dimostrata dal saper fare) e di responsabilità (di fronte alla legge e dunque alla società) sono l’opposto di privilegio e di arbitrio.
Se invece vogliamo andare a teorizzazioni più recenti, in particolare italiane, possiamo leggere “Meritocrazia: Quattro proposte concrete per valorizzare il talento e rendere il nostro paese più ricco e più giusto” del manager giornalista e scrittore Roger Abravanel, per iniziativa del quale sono stati varati nel 2010 dal MIUR il “Piano nazionale per la qualità e il merito” e nel 2011 dal Governo la “Fondazione per il merito”. A seguito di queste iniziative sono anche sorte fondazioni e associazioni private che si propongono di diffondere il merito come criterio di scelta degli incarichi e di valutazione delle carriere. E oggi sempre più sentiamo parlare di “premio al merito” sia in ambito privato che pubblico. Fino al documento del Governo Renzi “La buona scuola”, in cui per la prima volta in un documento di riforma si rompe con la cultura dell’egualitarismo sindacale introducendo l’idea della progressione di carriera degli insegnanti fondata sul merito e non solo sull’anzianità.
Dunque i presupposti teorici di una società che valorizzi il merito e non le clientele sono antichi e ben radicati nella società occidentale. E anche nella società italiana la cultura del merito non è del tutto assente, anche se, com’è arcinoto, qui da noi il segno è dato storicamente dal “familismo amorale” e da un clientelismo che ha finito per spingere verso il basso anche le nostre specialità e infine per far avvitare su se stesso l’intero sistema.
Ecco perché, pur sapendo che cos’è il merito o per lo meno pur avendone una qualche nozione, esso ci appare lontano o assente, appunto come l’araba fenice. E in effetti non passa giorno che non dobbiamo constatare che alle parole difficilmente seguono i fatti. Si possono portare esempi a iosa, dai sistemi elettorali fatti non tanto per selezionare “i più capaci e meritevoli” quanto per garantire chi già c’è e la cooptazione di fatto, alle nomine in enti e aziende, nel pubblico e nel privato, fino alla triste vicenda di questi giorni della paralisi parlamentare per l’elezione dei membri della Consulta e del CSM.
Possiamo discutere quanto vogliamo in astratto se una società che premia il merito sia o no giusta, ma in ogni caso sappiamo che merito vuol dire competenza e responsabilità e che, se si vogliamo far funzionare le cose, queste sono le caratteristiche necessarie delle scelte in ogni settore, che peraltro non vogliono dire per nulla privilegio e non escludono affatto la solidarietà. Oggi l’uscita dalla crisi vuol dire questo. Sviluppo e crescita sono questo. Anche a livello locale.
I lettori possono scrivere a Leoni e Barbabella proponendo una domanda e loro risponderanno alla lettera (l’indirizzo di posta per ora è redazione@orvietosi.it ). La rubrica è seguita da un elzeviro di Barbabella e Leoni, o soltanto di uno dei due, su un argomento in cui intendono coinvolgere i lettori.