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Home Secondarie

IL FUTURO DI ORVIETO SCALO

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28 Ottobre 2013
in Secondarie, Archivio notizie
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L’alluvione dello scorso anno a Orvieto ha aperto il dibattito sulla gestione del territorio le scelte fatte negli ultimi decenni e soprattutto su quelle che sono necessarie per dare un futuro piu’ sicuro e realizzare uno sviluppo realmente sostenibile.

Purtroppo il dibattito si incaglia spesso nelle polemiche spicciole e con difficoltà si riesce a collocare il dibattito all’interno di una ricostruzione delle scelte fatte in passato, a tener conto dei vincoli reali e a spiegare chiaramente i vari punti di vista.

Il circolo del PD di Orvieto Scalo ha avviato da tempo una riflessione su questi temi, preso diverse iniziative e a breve convocherà un incontro pubblico per presentare un progetto organico sul quartiere.

In questo breve intervento si illustrano sinteticamente le valutazioni sulle vicende passate e le proposte per il futuro.

LA STORIA

Parlare del futuro di Orvieto vuol dire parlare del futuro di Orvieto Scalo. La crescita della nostra città nel secolo scorso è stata legata fortemente allo scalo ferroviario e alla costruzione dell’autostrada.

Lo sviluppo edilizio si è  concentrato nella vallata adiacente la Rupe come del resto è avvenuto in gran parte del  paese.

Il Piano Regolatore Piccinato impedì i danni piu’ gravi, riuscì a preservare le pendici della rupe e avviò una riflessione seria sul centro storico ma non poteva certo fermare la spinta all’urbanizzazione che veniva dalle campagne.

Con il Piano Regolatore Benevolo si fece una salto di qualità, immaginando un piano a crescita zero e affrontando in modo sistematico il tema della salvaguardia del centro storico non solo dal punto di vista architettonico e storico ma anche dal punto di vista sociale.

La fortunata coincidenza con nuove leggi molto innovative sul regime dei suoli, una nuova visione della programmazione urbanistica e i primi piani nazionali  sulla casa permisero all’amministrazione di sinistra di Orvieto di riempire la nuova visione della città annunciata dal Progetto Orvieto con contenuti reali fatti di zone di edilizia economica e popolare in tutto il territorio, compreso il centro storico, la realizzazione di nuove infrastrutture inseriti in progetti organici di mobilità e l’apertura ed il sostegno a forze sociali  fino allora abbastanza marginali in tutti i settori dall’artigianato, al turismo, all’agricoltura.

Orvieto Scalo è stato il punto nevralgico e critico di questi processi.

Infatti l’enfasi posta dal Progetto Orvieto e la potenza sociale e politica di Ciconia hanno finito per schiacciare il quartiere cerniera della città  in una funzione transitoria e di passaggio.

Nonostante che a Orvieto Scalo siano avvenute le trasformazioni piu’ profonde del tessuto produttivo della città ( basti pensare alla Petrurbani e alla Solet , alla Covio e al Consorzio Agrario) a partire dagli anni novanta le problematiche dello sviluppo del quartiere  sono state segnate quasi esclusivamente dalla rendita  immobiliare.

Rendita che ha prodotto una crescita di volumi commerciali e direzionali enormi senza che si toccasse minimamente la struttura della viabilità, che si immaginasse la permanenza di aree produttive e soprattutto senza che si affrontasse compiutamente il tema della ricucitura con Ciconia e Centro Storico.

Il polo scolastico di Ciconia è rimasto sospeso a metà, la mobilità è rimasta prevalentemente legata alle auto e non si è affrontato il problema della “circolazione interna” del quartiere per i cittadini che si muovono senza auto.

Auto e cemento armato sono state  la cifra del quartiere, con pochi e sporadici episodi di ripensamento.

Ovviamente la mancanza piu’ grave è stata la  scarsa visione d’assieme sulla vallata.

Le grandi opere volute dai Governi Nazionali  l’hanno stravolta, tagliata a metà ma i governi locali hanno assecondato le pulsioni piu’ negative, facendo costruire a prescindere, riempendo spazi vuoti senza soluzione di continuità.

Il disastro dello scorso anno è il figlio di questa cecità che è comune a tutte le forze politiche.

Le uniche voci fuori dal coro sono venute da  esponenti e movimenti ambientalisti bollate sempre come allarmisti ed esagerati

IL PRESENTE

L’alluvione di un anno fa ha cambiato radicalmente le cose costringendo tutti a fare i conti con i propri errori.

Fortunatamente la presenza di una Regione ancora capace di agire con efficienza ed efficacia ha permesso di avere un insieme di decisioni e provvedimenti significativi  per quantità e in grado di far imboccare alle politiche ed alle scelte locali una strada diversa dal passato.

Per questo vanno condannate senza appello gli atteggiamenti che tendono a scaricare sugli altri responsabilità passate e  presenti.

Serve una forte cooperazione tra i vari enti ed un confronto serio con tutti i soggetti coinvolti a cominciare dai cittadini e dalle imprese che hanno subito danni gravi .

Ovviamente imboccare una strada diversa comporta rimettere in discussione scelte che sono palesemente figlie degli errori del passato.

Aver permesso la costruzione del nuovo centro commerciale senza un minimo di riflessione su ciò che era successo e senza tener conto dei vincoli posti dal Consiglio Comunale nel 2007 è grave e denota un atteggiamento meramente propagandistico da parte della Destra che, nel mentre che denuncia gli errori compiuti dalla sinistra nel passato, prosegue sulla stessa strada.

IL FUTURO

Il PD immagina il futuro in un Progetto per le Aree Interne che parta dalla tutela, salvaguardia e valorizzazione del Bacino Imbrifero del Paglia.

Non si tratta di realizzare solo opere idrauliche o di bonifica idraulica come la Cassa d’Espansione sul Paglia a monte di Orvieto che pure sono indispensabili per scongiurare episodi come l’alluvione dello scorso anno.

Si devono affrontare tutte le criticità del territorio che partono dall’abbandono delle nostre colline, dalla crisi dell’agricoltura collinare , dallo spopolamento delle frazioni e dei piccoli comuni.

Vicende come il Fotovoltaico a Castelgiorgio e L’Eolico al Peglia non  parlano solo di un’aggressione  al territorio ma del fatto che la speculazione e la rendita si sono spostati dal mattone ad altri settori.

Non si tratta di un progetto solo per ingegneri, agronomi, biologi , architetti o altri specialisti, pur indispensabili per dare basi solide a scelte politiche e amministrative.

Si tratta di discutere con le popolazioni interessate di quale vita vogliono vivere, del tipo di sviluppo piu’ congeniale per i nostri territori e di quale città hanno bisogno con il conseguente corredo di servizi.

L’Ente Pubblico nei prossimi anni dovrà essere l’impresario dello sviluppo locale.

Sappiamo che il banco di prova sarà la capacità degli EELL di praticare politiche che abilitino il territorio nella transizione verso il digitale.

Una città deve essere capace di guidare i propri cittadini verso un consumo consapevole di intelligenza.

Altrimenti alle vecchie schiavitu’ se ne sostituiranno delle nuove, dove chi conosce e padroneggia la conoscenza dominerà sugli altri che verranno relegati a meri consumatori.

L’ARTIGIANO ,IL CONTADINO E L’INTELLETTUALE DEL TERZO MILLENNIO

Sono di grande interesse sono tutte quelle iniziative che puntano alla crescita e valorizzazione del capitale umano.

Tutto ciò vuol  dire riscoprire il valore del nostro patrimonio culturale che affonda le radici nell’agricoltura, nell’artigianato e nella cultura.

Stà crescendo un nuova generazione di creativi che affiancano la passione per la tecnologia  all’amore per gli antichi mestieri artigiani che hanno fatto del nostro paese la culla dell’arte e dell’artigianato. Questi nuovi talenti sono tra noi, e secondo gli esperti sono in grado di innescare una nuova rivoluzione industriale che parte proprio da quelle aree interne che stanno subendo la crisi economica e di identità sociale che sta vivendo il nostro paese.

 

 

Il progetto Social FabLab vuole creare le condizioni per trasformare un paese di creativi in un paese per creativi. Rifocalizzare l’attenzione sul valore centrale della dignità del lavoro manuale facendo tesoro dei saperi e dell’esperienza dei mastri artigiani, i makers,  che sono la spina dorsale del tessuto produttivo delle nostre aree interne.

Si deve cogliere l’opportunità di una fase  in cui la creatività e la spontaneità di aggregazione  sta innescando  nuovi modelli imprenditoriali che sfuggono alle consuetudini ed alla ritualità finanziaria che ha caratterizzato per troppo tempo i processi di incubazione d’impresa, le start-up, e l’erogazione di contributi pubblici.

C’è quindi l’occasione di mettere insieme competenze, passioni, risorse pubbliche, esperienze e capitali privati per dare vita a nuove botteghe artigiane in cui la tecnologia digitale diventa lo strumento per la fabbricazione di nuovi prodotti e nuovi servizi.

 

Il progetto in embrione di realizzare un Laboratorio per creativi (FAB LAB) ad Orvieto Scalo in collaborazione con le scuole o  utilizzando spazi dismessi è di grande interesse e permetterebbe di avviare il reinsediamento di attività produttive nel quartiere.

 

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