di Il Clan del Gruppo Scout Orvieto I
Erano passati otto mesi dalla partenza di Damiano, un rover del nostro clan, per il Kosovo; molti di noi non sapevano esattamente dove si trovasse questa nazione e confusamente ne conoscevano la storia, eppure c’era un gran fermento nell’aria. Tutti i membri del Clan, dagli ex Novizi ai Capi, erano eccitati all’idea di partire per questo nuovo campo di servizio e ripercorrere le orme di quel nostro compagno di avventure, che aveva deciso di donare un po’ del suo tempo in un’esperienza di servizio nel Campo Caritas di Radulloc.
Ci stavamo avvicinando all’entrata dell’Aeroporto di Fiumicino, con la solita preoccupazione che il peso dello zaino superasse i kg previsti dalla compagnia di volo, quando abbiamo sentito gridare da lontano: “ Per caso andate in Kosovo?” incuriositi ci siamo girati… Era Damiano! Il nostro amico, che da circa un mese si era spostato nella Casa Caritas di San Fatucchio, aveva deciso di accompagnarci per condividere con noi la sua esperienza in Kosovo. Increduli gli siamo corsi incontro per abbracciarlo, felicissimi di averlo di nuovo tra noi ed ancora più emozionati di partire. Come le sorprese, anche le peripezie e gli inconvenienti, tipici dei campi scout, non sono certo mancati. Il volo per Tirana, con una compagnia sconosciuta ed un aereo ad eliche, ha fatto più di un’ ora di ritardo, così siamo arrivati a mezzanotte. Ci aspettavano ancora più di due ore di viaggio, attraverso le strade albanesi, per raggiungere il confine con il Kosovo, dove gli ufficiali di frontiera hanno fatto un po’ di storie per i ragazzi del clan ancora minorenni, superato felicemente quest’intoppo, infine, un’altra ora per arrivare al Campo Caritas di Radulloc. Ancora una volta il Clan Orvieto I era arrivato sano, salvo e stremato a destinazione! Dopo una meritata mattina di riposo, siamo stati accolti dai responsabili della struttura: Massimo Mazzali, che ci ha spiegato il progetto e le regole del Campo e ha iniziato a parlarci della storia del Kosovo, un racconto poi approfondito nei giorni successivi, e Cristina Giovanelli, indaffaratissima tra i bambini da vestire e l’organizzazione dei lavori giornalieri.
Il Campo Caritas in Kosovo è un’ esperienza nata ben quattordici anni fa, dopo la terribile guerra serbo-kosovara. I primi volontari giunsero sul posto appena finito il conflitto insieme alle truppe NATO. Fu subito organizzato un intervento di prima assistenza alla popolazione e ai profughi di guerra. Il progetto con il tempo si è evoluto, anche grazie alla concessione temporanea da parte di una famiglia kosovara di una struttura, adibita a centro di accoglienza per ragazzi provenienti da situazioni disagiate. La casa ora svolge vari tipi di attività: continua ad accogliere bambini e persone in difficoltà, collabora con altri Centri Caritas umbri e nazionali, aiuta mensilmente più di cento famiglie attraverso pacchi viveri, vestiario, materiale scolastico, medicinali e durante tutto l’anno ospita ragazzi e gruppi di volontari che vogliono dare una mano, come nel nostro caso.
Dopo un abbondante pranzo insieme a tutti i ragazzi e i volontari, il nostro Clan è stato diviso nei vari gruppi di lavoro. Così è iniziata la parte più dura, ma anche la più gratificante del nostro campo di servizio. C’era chi doveva occuparsi della cucina, chi delle pulizie, chi, invece, andava a lavorare o nel cantiere di Leskoc, dove nascerà il futuro campo Caritas, oppure andare a fare il giro delle famiglie povere per portare viveri e generi di prima necessità. Insomma veramente un gran da fare. Ma tutto ciò non bastava, perché ovviamente oltre ai lavori manuali, si aggiungeva tutta l’ordinaria vita di comunità. Quindi lodi, vespri, attività di gruppo come riflessioni e preghiera e infine l’attesissima animazione serale. Quest’ultima vedeva coinvolti sia i ragazzi volontari, sia i bambini kosovari della Casa, che molto spesso si esibivano in balli tradizionali e non solo, portando sempre buon umore e allegria nella comunità. La giornata tipo inizia alle sei meno un quarto per preparare le colazioni e finisce alle dieci e mezza circa con la buonanotte.
I nostri dieci giorni nel Campo sono volati, fra partenze e nuovi arrivi di gruppi da tutta l’Italia; i ritmi erano serrati, e alla fine della giornata si poteva certamente dire di sentirsi stanchi ma soddisfatti. Nonostante la grande quantità di lavoro che svolge giornalmente, Massimo ha fatto sì che tutti noi potessimo toccare più da vicino la realtà del Kosovo, anche tramite delle uscite che ci hanno permesso di visitare i posti più significativi di quella strana e complicata realtà. È così che abbiamo potuto ammirare la bellezza delle montagne kosovare ma anche i luoghi della guerra, come la casa del massacro della famiglia di Adem Jashari, oppure visitare vari enclavi serbi come il monastero ortodosso di Dečani oppure la città di Mitrovicè. Questa è ancora separata in due, un po’ come la vecchia Berlino, da una parte del fiume vivono i serbi e dall’altra la popolazione di etnia albanese ed è forse il luogo dove si respira in misura maggiore l’aria di conflitto e di tensione che, nonostante la fine della guerra, non è ancora stata superata.
Ripartire da quel posto non è stato facile, non solo per i momenti trascorsi, incredibilmente intensi e coinvolgenti, ma anche per la difficoltà di tornare alla vita di tutti i giorni, consapevoli del fatto che a poca distanza dal nostro mondo ne esiste uno totalmente diverso e sicuramente molto più complicato. Il tempo speso lavorando, faticando, riflettendo sui temi e gli argomenti che ci sono stati proposti o semplicemente giocando con i ragazzi del Campo, hanno permesso che ognuno di noi tornasse a casa con un pezzetto di Kosovo dentro, con tanta voglia di donarsi agli altri e forse anche un po’ cambiato.
(Foto di Valentina Dal Monte)