ORVIETO – Il Centro studi potrebbe diventare il secondo Istituto tecnico superiore della Regione Umbria, dopo quello dedicato alle nuove tecnologia per il made in Italy di Perugia. Si tratta di scuole speciali di tecnologia che costituiscono un canale formativo di livello postsecondario, parallelo ai percorsi accademici. Il decreto legge su semplificazione e di sviluppo del 2012 ne disciplina la costituzione, prevedendone uno per ogni area tecnologica (efficienza energetica, mobilità sostenibile, nuove tecnologie della vita, tecnologie innovative per i beni culturali, tecnologie dell’informazione e nuove tecnologie per il made in Italy) in ogni regione.
“Istituiti nel maggio 2012 col decreto legge del Governo Monti, gli Istituti tecnici superiori si configurano come strumento prezioso per la formazione di giovani diplomati, in quanto uniscono la formazione teorica alla pratica nei luoghi di lavoro – hanno detto le opposizioni in un’affollata conferenza stampa cui hanno preso parte diverse associazioni di categoria, oltre ai dipendenti della scuola – Uno strumento basato sulle Fondazioni di partecipazione – quale è per l’appunto il nostro Centro studi – oggi fortemente sponsorizzato a livello governativo, ma anche a livello di Confindustria. Prima di buttare via l’esperienza accumulata dal Csco e la sua reputazione varrebbe la pena di informarsi sulle nuove opportunità di alta formazione offerte anche a livello nazionale”. Un’altra proposta che arriva dalle opposizioni, alla vigilia della decisione che pare ormai scontata di messa in liquidazione della Fondazione, è quella di allargare la base sociale aprendo alle associazioni culturali, di categoria e sindacali, alle Università in modo che da diversificare e rendere più accessibili le quote di partecipazione annuali.
L’argomento non è secondario. Soprattutto considerando che se i soci fondatori non fossero stati inadempienti alle norme statutarie relativamente alle quote da versare da diversi anni a questa parte, oggi il Centro studi città di Orvieto, secondo i calcoli dell’opposizione e dei suoi consulenti, non avrebbe un deficit in bilancio di 650mila euro bensì, un attivo di 500mila. Questo la dice lunga sulla volontà politica di anemizzazione del Csco. Che, sempre dati alla mano, con tutto il suo indotto rappresenterebbe il 5% del Pil orvietano, con un giro di affari di oltre 2,4 milioni di euro all’anno. Sul fronte istituzionale, intanto, tutto tace. L’unica novità è che è saltato il consiglio comunale di domani per importanti impegni istituzionali del sindaco a Roma. Nulla a che vedere dunque con le pratiche iscritte all’ordine del giorno. In ogni caso slittano le decisioni sul destino del Csco.