ORVIETO – I soldi gli piacevano. E molto anche, a giudicare dalle foto di contanti di grosso taglio – in euro e non – che tappezzano il suo profilo su Facebook. Come il fratello aveva scelto un nome italianizzato, Mirco, ma diversamente dal fratello, Shpend Seljmani, 24 anni accusato di omicidio volontario aggravato ai danni del fratello minore Liridon, detto Toni, di 21 anni, non si era mai dato da fare troppo per trovare un lavoro. Viveva di piccoli espedienti e non disprezzava qualche canna di tanto in tanto.
Ragioni per le quali le forze dell’ordine gli avevano messo gli occhi addosso. Ma che potesse arrivare a compiere un gesto simile, come quello di uccidere il fratello era una cosa che forse non credeva possibile neanche lui. Quando la polizia è intervenuta nell’abitazione di via della Robinie l’ha trovato distrutto, fisicamente e psicologicamente, eppure tuttora, al quarto giorno di carcere, non confessa. Per il gip Claudio Baglioni deve restare dietro le sbarre. Indizi chiari e concordanti – a partire dalle circostanze, fino ad arrivare allo stato di prostrazione in cui l’hanno trovato gli agenti – non lasciano spazio a dubbi. Emerge, tra l’altro, un particolare che, secondo gli inquirenti, è inequivocabile. Shpend Seljmani non sarebbe sfuggito alla regola non scritta che vuole che chi uccide con un coltello si ferisca sempre. E il 24enne ha riportato, difatti, una ferita ad un dito della mano destra. Gli esami della Scientifica chiariranno meglio i dettagli della dinamica. Ma intanto gli inquirenti si sono già fatti un’idea che di approssimativo avrebbe ben poco. La lite violenta sarebbe scoppiata intorno alle 20,30. Le litigate erano frequenti. Più o meno futili. E comunque sempre per lo stesso motivo: i soldi. Litigavano per le cose più banali, come accade spesso quando il denaro scarseggia.
Il fratello maggiore, senza un lavoro fisso, si faceva comprare le sigarette, ad esempio, e andava su tutte le furie se Toni gli portava il pacchetto da 10 invece che da 20. Ma venerdì il problema era un altro. C’erano le spese da affrontare per un viaggio in Macedonia dove il padre e i due figli avrebbero dovuto raggiungere la madre e la sorella. In soggiorno, scoppia la lite tra i due fratelli che vengono presto alle mani, mentre il padre, atteso il tramonto nel rispetto del ramadan, preparava la cena in cucina. La lite avviene in due riprese con uno dei due che si assenta un attimo dalla stanza per andare in un ripostiglio. Quando la lite furibonda riprende fa la sua comparsa il coltello a farfalla che il fratello maggiore conficcherebbe sotto l’ascella sinistra del fratello, procurandogli una piccola ferita. Piccola, ma mortale. Il ragazzo perde pochissimo sangue, si accascia sul pavimento tra i vetri di un tavolino andato in frantumi.
Padre e figlio (il 53enne, non creduto, dice di essere intervenuto solo in questa fase) sollevano il 21enne appoggiandolo sul divano. Puliscono il sangue in terra, ma più per non vederlo (al padre faceva impressione) che per nasconderlo, perché poi lasciano lo straccio intriso di sangue lì accanto. Come il coltello, che è stato trovato sotto il tavolo della cucina di fronte al soggiorno. Tutto lascia ipotizzare un impeto, una lite dalle conseguenze impreviste. Per domani intanto è atteso il conferimento d’incarico per l’autopsia, mentre nel quartiere è scattata una raccolta fondi di solidarietà per i funerali del ragazzo.