ORVIETO – Perizie convergenti, il vaso sarebbe dell’800. Anche se Vittorio Sgarbi, consulente di parte di Vincenzo Fumi, prescindendo dalla datazione, ieri mattina, nel corso dell’incidente probatorio in camera di consiglio, avrebbe ipotizzato un valore del vaso compatibile con la cifra alla quale è stato venduto dall’assessore Marco Marino alla Fondazione Cro (con datazione 1630). Chiare e convergenti, invece, le altre due perizie (quella del tribunale e quella della difesa) che non lasciano spazio a dubbi.
Secondo il perito nominato dal tribunale: “D’acchitto, icti oculi – scrive Giancarlo Bojani – l’opera è indiscutibilmente apparsa come un manufatto realizzato entro l’ultimo ventennio del XIX”. Lo storico dell’arte ipotizza anche l’attribuzione a “Romolo Bezzicheri che lavorò non solo ma anche nella Fabbrica Molaroni di Pesaro”. Concorde l’attribuzione della ceramologa, Giuliana Gardelli, consulente di parte dell’antiquario Marcello Mencarelli, accusato di diffamazoione. “L’opera – sostiene la ceramologa – si presenta immediatamente, già alla prima analisi, d’epoca tardo ottocentesca. Essa trova perfetto riscontro nel catalogo di vendita della ditta Molatomi di Pesaro del 1911”. E ancora: “E’ pesantemente restaurata tanto quasi da azzerare il valore di mercato”.
Grande soddisfazione da parte della difesa di Mencarelli. “Un dato è incontrovertibile – dichiara l’avvocato Manlio Morcella – la ceramica, per il professor Bojani, perito del tribunale è datata Fine Ottocento, contro gli assunti di chi ha ceduto alla Fondazione il pezzo, datandolo in epoca compatibile con l’anno 1630. Ci riserviamo tre giorni di riflessione, per comunicare le iniziative giudiziarie che il mio cliente vorrà eventualmente assumere”.
“La Fondazione Cro – ha dichiarato invece il legale Sergio Finetti – nel ricordare di essere parte offesa nel procedimento penale, anche alla luce delle risultanze della odierna fase endoprocessuale, confida che le proprie ragioni verranno ampiamente comprovate nel prosieguo del giudizio. E ciò al di là delle gratuite e diffamatorie dichiarazioni, rese da chi ha costretto la Fondazione, con il proprio operato caratterizzato dall’invio di lettere anonime e dall’affissione abusiva di manifesti anonimi a sporgere querela per tutelare in ogni sede la propria onorabilità”.