di Marco Conticelli, assessore alle Politiche socio-sanitarie del Comune di Porano
Nonostante l’Assessore regionale alla sanità abbia recentemente espresso la propria soddisfazione per la virtuosità nella spesa sanitaria umbra certificata dalla chiusura del bilancio preconsuntivo 2011, l’appropriatezza dei servizi garantiti non sembra andare di pari passo con quanto sta accadendo, almeno presso l’Ospedale di Orvieto, anche a giudicare dalle ultime vicende rese pubbliche dalla stampa locale che non hanno fatto altro che confermare le pesanti criticità del nostro nosocomio.
Malgrado le rassicurazioni più volte fornite dai massimi esponenti politici regionali e dalla Direzione della Asl 4 di Terni in merito alla conferma del ruolo del nostro ospedale, che non è solo di Orvieto, giova ricordarlo, ma è al servizio di un territorio ben più vasto, stiamo assistendo ormai da tempo ad un reale depotenziamento della struttura che ne compromette fortemente quelle caratteristiche per le quali è classificato come ospedale delle emergenze-urgenze.
Non siamo i primi e non saremo certamente gli ultimi a denunciare lo stato in cui versa l’Ospedale di Orvieto; molte voci si sono levate in merito, voci anche molto più autorevoli di quelle di un piccolo Comune come Porano che tuttavia non vuole restare alla finestra ad attendere e subìre gli eventi ma vuole farsi portavoce delle difficoltà incontrate quotidianamente dai propri cittadini nel rapporto con la struttura ospedaliera, come è sacrosanto che un Comune faccia oltre al dovere istituzionale.
Se avvertiamo la necessità di intervenire è perché riteniamo fondamentale mantenere alta l’attenzione sulle problematiche dell’Ospedale di Orvieto in chi è chiamato a deciderne le sorti.
Oltre alla progettualità politica che dovrà individuare la vera collocazione ed il vero ruolo del nostro nosocomio nella mappa sanitaria – territoriale regionale, credo sia necessario entrare nel dettaglio di certe disfunzioni perché è su queste che si gioca la partita e che interessano maggiormente i cittadini.
Un Pronto Soccorso ed un 118, accorpati, fulcro della gestione complessiva dell’intero Ospedale, con 8 medici su un fabbisogno minimo di 12, con turni che a volte vengono svolti da medici di altri reparti sguarnendo ovviamente gli stessi reparti già molto carenti di personale.
Nel reparto di radiologia, a fronte della presenza nel 2011 di 7 medici, attualmente troviamo in servizio 3 medici oltre al Primario disponibile a mezzo servizio (smaltimento ferie) fino a luglio quando andrà definitivamente in pensione.
Situazione Primariati: il Pronto Soccorso, dopo il pensionamento del dott. Barbabella, è senza un Primario (c’è un facente funzioni), così come il reparto di Ortopedia e Cardiologia.
Il Primario di Radiologia, come detto, andrà presto in pensione.
Un servizio importante come quello relativo allo screening mammografico (prevenzione tumori della mammella) è in grande difficoltà: a fronte di un servizio assicurato fino a qualche tempo fa da due medici e due infermiere, attualmente è retto da una infermiera per pochi giorni al mese, da un medico (il Primario) che a breve andrà in pensione e saltuariamente da altro medico proveniente da Terni.
Le liste d’attesa, sempre più lunghe nonostante i R.A.O., Raggruppamenti attesa omogenei, rimarcano un progressivo aumento in molti settori nonostante siano state esternalizzate alcune prestazioni.
Nel 2010 la disponibilità extra orario del personale interno che aveva partecipato ad un progetto di abbattimento liste di attesa finalizzato a stroncare le fughe verso altri lidi, aveva contribuito ad abbattere i tempi di attesa per alcuni esami a circa 15-20 giorni, attualmente l’attesa è risalita a 65-70 giorni.
Per non parlare poi della preoccupante situazione in cui versa parte delle apparecchiature sanitarie e gli stessi arredi ospedalieri riguardo alla scarsa manutenzione ordinaria.
Lavorare in questa situazione a queste condizioni risulta molto difficoltoso per gli operatori che si ritrovano spesso, loro malgrado, a fare da “cuscinetto” all’esasperazione degli utenti.
I tentativi di giustificare le cosiddette “fughe” non hanno mai ricompreso l’analisi dei motivi; dai dati forniti si evidenzia che le maggiori “fughe” si hanno verso le strutture sanitarie della Toscana e del Lazio soprattutto nell’ortopedia e nella chirurgia.
Ma perché un paziente si rivolge altrove?
Prendiamo il caso di Figline Valdarno, la località toscana dove ha sede una delle strutture sanitarie meta degli orvietani.
La casa di cura di Figline, a differenza dell’Ospedale di Orvieto, opera in regime di “elezione” attraverso interventi programmati dove tutti i parametri (del paziente, del personale in termini di numeri e dell’evento stesso inteso come intervento) sono preventivamente valutati e di conseguenza attuati con relativa “normalità”.
Operare in regime di urgenza, come l’Ospedale di Orvieto, significa invece dover intervenire con la massima efficienza ed efficacia nel più breve tempo possibile nel rispetto dei protocolli.
Da ciò si può facilmente intuire che spesso gli interventi di “elezione” e quindi programmati devono lasciare spazio a quelli di carattere urgente molti dei quali interessano utenti provenienti dall’area del viterbese in una situazione, tra l’altro, di carenza di operatori e dei primari.
Altro elemento da valutare è il supporto riabilitativo garantito da certe strutture che presso l’Ospedale di Orvieto, per carenza degli operatori, non sempre è possibile attuare.
La domanda da porsi, pertanto, è se un ospedale dell’emergenza-urgenza possa mantenere questa classificazione alla luce dei tagli effettuati e delle condizioni di carattere organizzativo e strutturale in cui versa.
Domande che si pongono i cittadini e che si è posta l’ Assemblea dei Sindaci ma che, aldilà delle continue rassicurazioni della Direzione Generale della Asl n.4 e della Presidente della Regione, si ripropongono sempre più spesso perché la situazione è grave e richiede una valutazione molto approfondita se, ovviamente, esiste ancora la volontà politica di mantenere in vita il nostro ospedale.