di Franco Raimondo Barbabella
L’apparente apertura di Massimo Gnagnarini a discutere senza pregiudizi si perde poi in ragionamenti di autodifesa tipici, debbo dirlo, di una politica tradizionale che si mette fuori dall’unità di tempo e di luogo. Perciò i suoi argomenti nemmeno sfiorano la questione di fondo che gli ho posto e che ora formulerei così: se riduciamo Orvieto ad un paesotto, la triade monumentale che ci fa essere mondo (Duomo-Pozzo-Palazzo del popolo) diventa oggettivamente sparametrata rispetto alla città, che a questo punto non sarebbe più tale avendone perse tutte le caratteristiche.
Allora rimarrebbe solo una scelta di questo tipo: o si fa un bando (la cosa mi pare vada parecchio di moda) per trasferire la triade mondiale in altra realtà degna di ospitarla, o si lavora perché la città sia tale e degna di ospitarla essa stessa. Non sembri un paradosso: Orvieto o è mondo o non è niente, se non si fa mondo vivacchia e inevitabilmente deperisce. Chi la governa è la prima cosa che deve sapere! Massimo, quale prospettiva scegliamo? Il Progetto Orvieto ha delineato la seconda strada. Il progetto Vigna Grande l’aveva ripresa. Pervicacemente è stata combattuta e abbandonata. Con queste scelte non si scherza. Tu da che parte stai? L’Amministrazione da che parte sta?
Ora tu, Massimo, sostieni due cose: che i dati dimostrano che la città non è in declino e che l’Amministrazione lavora assumendo per le sue scelte le linee operative del Progetto Orvieto. No, per favore no. Se vogliamo ragionare sul serio, bisogna evitare ogni tentativo di prendere e di prenderci in giro. Lì c’era una cultura progettuale; nei provvedimenti dell’attuale amministrazione non si vede ombra di progettualità.
I dati dicono qualcosa, ma non dicono l’essenziale. E l’essenziale è che la città non solo non ha più una identità, ma non si sta ponendo il problema di quale altra darsene, di come definirla e organizzarla. Non chiudono solo esercizi privati e non solo si sono perse funzione fondamentali per avere dignità e ruolo di città, ma si è persa la speranza. Allora occorre fare qualche osservazione e qualche domanda più precisa.
Poiché concludi la tua risposta con l’invito a non confondere “quello che ci sarebbe da fare con quello che è possibile fare”, da una parte ti ricordo che l’atteggiamento programmatico minimalista è proprio quello da evitare, perché ci mette fuori da tutti i circuiti, di ideazione e di finanziamento (il Progetto Orvieto ha avuto successo perché era organico e lungimirante, all’opposto delle concezioni amministrative minimaliste). E dall’altra, nel caso tu intenda dire che bisogna stare con i piedi per terra per la scarsità di risorse, mi chiedo e ti chiedo se per caso questa scarsità non sia dipesa tanto dal dissesto quanto da scelte politiche sbagliate. Magari sarebbe interessante un confronto serrato sui dati di fatto se avessimo a disposizione le stesse carte di cui ti avvali tu.
Non dai risposta sull’atteggiamento ondivago dell’Amministrazione, che dà l’impressione di cedere troppo spesso a chi è o sembra più forte. Allora, oltre a sottolineare ancora l’atteggiamento inaccettabile tenuto continuativamente nei confronti della BPB, debbo chiedere: perché due trattamenti così diversi nei confronti di Tema e Cittaslow?
Citi trionfalmente i dati sul turismo, e qui veramente ci si potrebbe anche indignare, perché il primo dato, molto più importante dei numeri, che tu non citi perché non c’è, è la politica turistica. Debbo dunque anche qui farti una domanda precisa: ma tu, voi, vi siete resi conto che sono anni e anni che i diversi sistemi turistici sono fermi e che tra questi è sostanzialmente inesistente quello che con maggiore evidenza denuncia la mancanza di una politica lungimirante organizzata, ossia il turismo congressuale? Non vi sfiora l’idea che basterebbe questo per riempire Piazza del popolo? E che tra le prime cose da mettere in cantiere, prima di discutere di dieci posti auto, c’era la galleria del Moro?
Ancora una notazione sul Progetto Orvieto. Non la faccio lunga, sia perché qualcosa ho già detto, sia perché sennò già so come va a finire. Però dico che quello che non si può fare è ridurre quell’esperienza a ispirazione per provvedimenti puntiformi e scoordinati. Se volete trarre da essa il potenziale che ancora contiene rapportandolo ai problemi di oggi, allora dovete trovare il modo di farla emergere dal dimenticatoio e di utilizzarla per una nuova fase di rilancio della città su base territoriale. D’altronde l’occasione c’è, basta prenderla con serietà. E io ho presentato su questo una proposta precisa.
Ultima questione, ma non per importanza, l’ex Piave. Ma ti pare logico che una questione del genere stia lì, quasi dimenticata, almeno in apparenza nella più totale indifferenza? Ma come si fa ad aver accettato che fosse messa nelle mani dell’Agenzia del Demanio, quasi a volersene liberare perché vissuta come palla al piede e non invece come occasione straordinaria di sviluppo, peraltro proprio di qualità dello sviluppo? E che cosa si aspetta oggi a toglierla al Demanio per occuparcene direttamente come città? Non sarebbe logico per un bene strategico, straordinariamente strategico, come è questo? Peraltro avete a disposizione un Business Plan che, depurato dell’eccesso di destinazioni pubbliche e aggiornato, mantiene sicuramente un’ispirazione progettuale di tutto rispetto.
Credo che basti così. Magari, se si vorrà continuare il confronto, ci possono essere anche altre possibilità.