ORVIETO – Due ore in più. Ma ne vale veramente la pena? Questa mamma se lo è sentito chiedere più volte e la sua risposta, piena di tenacia e speranza, è stata sempre la stessa: “sì”. E se poi quelle due ore in più in poco meno di un mese hanno dato la possibilità a un bambino di sentirsi uguale a tutti gli altri, allora ecco che quel “sì” diventa pesante come un macigno e forte come solo l’amore di un genitore può essere. Lui è un bambino con “bisogni speciali” per cui la campanella non suona come per tutto il resto della sua classe. No, la sua suona più tardi per entrare e prima per uscire perché è scaduto “il suo tempo a disposizione”.
Al di la del fatto in sé, ovvero la condanna nei confronti del Comune di Orvieto per non aver predisposto maggiori ore di sostegno (11 anziché 9) nonostante fosse previsto nel Pei (piano educativo individuale), c’è la storia di un bambino e dei suoi genitori che non ci stanno a passare per quelli che “se ne fregano” se anche altri si trovano nelle stesse condizioni.
E’ di fronte a questa mancanza di tempo che la mamma ha deciso di battersi anima e corpo per dare al suo bambino una vita normale. Per farlo sentire ne più né meno degli altri, ma esattamente come tutti gli altri. Lui è un bimbo di nove anni affetto da disturbo dello spettro autistico per cui gli era stato riconosciuto il bisogno di usufruire, oltre di ventidue ore di sostegno, anche di undici di assistenza scolastica. Ma dopo lettere su lettere in cui i genitori chiedevano al Comune di assegnare le ore aggiuntive e di fronte al diniego per mancanza dei fondi necessari, hanno deciso di ricorrere al tribunale. «Ci siamo sentiti presi in giro» dice la mamma.
«La risposta più eclatante – racconta – è stata che a partire dal 2017, senza specificare quando esattamente, ci sarebbe stato un probabile incremento derivante dalla possibilità di accedere alle risorse del fondo sociale europeo. Sono stata fiduciosa, ho aspettato settembre, l’inizio dell’anno scolastico, ma la mia speranza è stata disattesa scoprendo con rammarico che le ore assegnate a mio figlio erano sempre e solo nove. E’ stato in quel momento che ho deciso di non scrivere più e passare ai fatti facendo ricorso al tribunale».
Con procedimento d’urgenza, a dicembre dello scorso anno, il giudice Alessandro Nastri accoglie il ricorso e condanna il Comune al pagamento delle spese processuali e all’incremento delle ore come previsto dal Pei. «Mi sarei aspettata una chiamata dal Comune, invece, mi arriva l’ennesima lettera – continua a raccontare – dove mi viene detto che l’amministrazione aveva comunque manifestato l’interesse di incrementare l’azione di supporto al processo di assistenza ed integrazione scolastica degli alunni con disabilità. Oltre il danno, dunque, anche la beffa». Ora questo bimbo speciale da gennaio frequenta la scuola come tutti gli altri e la campanella suona per lui come per tutta la classe. «E’ un bambino sereno, felice di andare a scuola – dice ancora la mamma – è un’esperienza unica per favorire la relazione, l’autonomia, la conoscenza di cose nuove, di socializzare con figure nuove e con i compagni, che gli offrono la possibilità di progredire, di acquisire nuove competenze. E in nemmeno un mese anche le maestre hanno potuto notare il suo miglioramento.
Conosco bene i problemi di mio figlio ma so anche che andando a scuola, stando con i suoi compagni, questo potersi sentire come gli altri, lo rendono in grado di fare qualsiasi cosa. La sua è una malattia che non si può curare ma la si può combattere imparando a conviverci attraverso la dedizione, l’amore e il tempo. Questo solo chiedevamo, tempo». Una battaglia dell’amore, questa, vinta grazie alla forza e alla tenacia di una madre che ha mostrato i denti non solo per suo figlio ma anche per tutti gli altri bambini a cui il tempo viene negato.
(Sara Simonetti)