Questa fotografia è stata scattata pochissimi istanti dopo la scossa del 30 ottobre: in mezzo a quella polvere c’è Norcia. Dal profilo facebook di Matteo Polito – foto scattata da arch. Saviani
di Gabriele Marcheggiani
Il pugno allo stomaco arriva dietro una curva, improvvisamente, solo che a differenza della canzone di Ivano Fossati, girato l’angolo non ci trovi il mare: una casa rasa al suolo sulla sinistra e tre tende blu della Protezione Civile ti danno il benvenuto in questa terra squassata da una sequenza sismica che sembra non voler finire mai.
Prima di quella curva, chi sale da Terni attraverso la Tre Valli Umbre, non ha alcuna percezione di quanto accaduto, anche se c’è un via vai di mezzi dei Vigili del Fuoco, dei Carabinieri, della Guardia di Finanza, gli unici che sembrano percorrere queste strade; a Mucciafora, c’è un brevissimo tratto di strada a senso unico alternato a causa di alcuni massi staccatisi da una parete a ridosso della carreggiata, massi di dimensioni notevoli che hanno sfondato senza troppa difficoltà le reti di protezione e proseguito la loro corsa fin sulle rive del Nera.
Un piccolo miracolo che a quell’ora, le 7,41 del 30 ottobre, nessuna auto, nessun ciclista, stessero transitando in quel punto. Ciclisti soprattutto, perchè risalendo la Valnerina, in una fredda mattina di dicembre, se ne incontrano a decine, una carovana di appassionati che da Terni, Spoleto, Foligno, pedala senza fare troppo caso ai segni evidenti delle frane e alle rocce in bilico.
A Ferentillo, Scheggino, Sant’Anatolia di Narco, Cerreto di Spoleto, nulla richiama il terremoto, nulla lascia trapelare il fatto di essere solo a poche decine di chilometri dall’epicentro del più forte terremoto verificatosi in Italia dai tempi dell’Irpinia. Magnitudo 6.5, roba forte, roba da giapponesi, neozelandesi, una roba che nella penisola se ne verificano un paio ogni secolo, per intenderci.
Poco dopo Borgo Cerreto, c’è il bivio che conduce a Norcia e Cascia e la realtà comincia a cambiare un poco: i cartelli al centro del bivio, indicano le direzioni anche per Preci, Visso, Ussita, luoghi familiari a chi frequenta la Valnerina e divenuti tristemente noti al grande pubblico come titoli di apertura di giornali e TG dal tardo pomeriggio del 26 ottobre. La statale è stata riaperta solo pochi giorni fa, per oltre tre settimane Norcia è stata raggiungibile dall’Umbria solo attraverso la vecchia strada delle Rocchette, stretta, lunga e pericolosa soprattutto dopo che è caduta la neve e il ghiaccio ha iniziato a farla da padrone da queste parti.
Chiusa per verifiche, per controlli, per la messa in sicurezza visto che sono presenti viadotti, gallerie e in più punti massi grandi come un’auto si sono schiantati sul manto stradale. A Serravalle, dove c’è il bivio per Cascia, non c’è un cristiano in giro e nessun autobus di pellegrini che svolti a destra per andare al santuario di Santa Rita e già questa è un’anomalia considerando che è un sabato mattina.
Poi, all’improvviso, un paio di curve, poche centinaia di metri e si entra in un altro mondo, da qui in avanti la forza primordiale della Terra ha lasciato segni sempre più evidenti: a Casali di Serravalle, le prime tende della Protezione Civile e le prime case lesionate, qualcuna completamente rasa al suolo. Nulla in confronto a quanto c’è, o forse sarebbe meglio scrivere non c’è più, meno di cinque chilometri più avanti. Passato il rettilineo, poco dopo il cartello che dà il benvenuto a chi arriva a Norcia, appare la sagoma dell’hotel Salicone ma finchè non ci sei nei pressi, sembra che nulla sia cambiato.
Sta in piedi ancora ma sembra che la facciata abbia subito un bombardamento, non c’è un mezzo metro quadrato di muratura che non sia lesionato, fessurato, aperto come una scatola di sardine dalle onde telluriche. Potrebbe essere Aleppo, è Norcia. C’è un po’ di traffico all’altezza del campo della Protezione Civile, poco più avanti un altro senso unico alternato evidenzia un tratto di strada letteralmente spaccatosi e franato in basso. Norcia sembra la retrovia di un campo di battaglia, in giro si vedono solo mezzi di soccorso, militari, Vigili del Fuoco, forze dell’ordine, mezzi di tutti i tipi, camionette, ruspe, betoniere, in un continuo andirivieni senza sosta. Pochi civili in giro, verrebbe quasi da scrivere, pochi quelli che non hanno una divisa addosso.
Ma i segni della battaglia, una battagli impari, si fanno più evidenti poco più avanti, quando la statale che prosegue verso Forca Canapine e Ascoli Piceno, costeggia le mura medievali della città, o meglio, quei pochi tratti che non sono ridotti ad un cumulo di sassi e macerie: un campanile lesionato all’interno del centro storico e una casa con le pareti esterne squarciate aggiungono ulteriori dettagli ad un quadro che si va sempre più delineando. E’ una scena agghiacciante, un conto è vedere le immagini in TV, un conto vedere coi propri occhi squarci di cielo dove prima c’era qualcosa.
Le mura perimetrali delimitano anche la “zona rossa”, il centro storico di Norcia è inaccessibile se non ai Vigili del Fuoco e alle forze dell’ordine, un alpino fa buona guardia al varco di Porta Ascolana per impedire a chiunque non sia autorizzato di accedere. La città appare quasi occupata militarmente, in giro si vedono solo le mimetiche, le tute verdi o quelle giallo fosforescenti e anche l’unico bar aperto a ridosso delle mura antiche, è frequentato da una miriade di accenti di tutte le parti d’Italia con indosso le divise della Protezione Civile, dei pompieri, dell’esercito. Tre persone anziane stazionano accanto a Porta Ascolana, stanno discutendo tra loro e probabilmente attendono qualcuno che li conduca dentro le mura a recuperare qualcosa nelle loro case.
Passato il distributore di benzina, proseguendo lungo la strada che porta ad Ascoli, su una piccola lingua di verde prospicente la zona commerciale, c’è un TIR che sta cercando di fare manovra. Su quella lingua di erba un po’ spelacchiata, un tendone abbastanza grande e tre roulottes sono lo spartano campo base dei Montanari Testoni (www.montanaritestoni.it, Facebook: Montanari Testoni) un gruppo di ragazzi e adulti nursini che si è organizzato autonomamente per dare una mano a chiunque ne abbia bisogno.
Dai terremotati per i terremotati, perchè sono tutta gente del posto e ci tengono a far sapere che loro non fanno volontariato, quello spetta ad altri, alle Caritas e alle Protezioni Civili. Loro pensano alle necessità materiali, anche ma non solo: nella tenda verde c’è un po’ di tutto donato liberamente vai a capire da chi. Da poco hanno aperto un conto corrente bancario per le donazioni, reperibile sul loro sito e sull’account facebook. Ci sono coperte, cuscini, biancheria intima, detersivi, acqua, abiti, saponi, scarpe ma loro non vogliono fermarsi a questo. «Il nostro compito è cercare di stare con la gente di Norcia, gente che oggi è smarrita, stanca, sfiduciata, vogliamo provare a ricreare anche uno spazio di socialità in questo contesto drammatico», dice Matteo, un ragazzone grosso con la barba che non sta fermo un istante. Tutto intorno a lui è un via vai di ragazzi e ragazze che si danno da fare: oggi lo spaccio, come lo chiamano loro, è chiuso, stanno cercando una sistemazione migliore per tutto il materiale a loro disposizione.
«Qui sono due mesi e mezzo che andiamo avanti – prosegue – dalla notte del 24 agosto, forse qualcuno se ne è dimenticato. Per fortuna non abbiamo dovuto seppellire i morti a Norcia ma il terremoto non c’è stato solo ad Amatrice e Arquata». Mentre parla indica il profilo dei rilievi montuosi che circondano Norcia verso sud. «Pescara del Tronto sta là dietro, saranno dieci chilometri da qui, appena all’uscita della galleria. Accumoli pure sta là, un po’ più spostata ma è un attimo ad arrivarci mentre Amatrice sta ancora più dietro. A Norcia hanno minimizzato il pericolo, sembrava che in questa vallata non fosse successo niente, c’era chi pregava i turisti di rimanere, chi predicava che Norcia era sicura ma dal 24 agosto tanti di noi non hanno più un tetto. Io stesso da quella notte e fino al 26 ottobre, quando la terra ha tremato verso Castel Sant’Angelo e Visso, avrò dormito a casa mia sì e no dieci notti».
Matteo è arrabbiato, lo sono un po’ tutti qui: pensano che solo una fortunata coincidenza di eventi abbia impedito di mietere vittime da queste parti, il cambio di orario, il fatto che fosse domenica e che le funzioni religiose non fossero ancora iniziate.
A Norcia sono crollate le chiese, sarebbe stata una strage. Mentre parla, Matteo indica un edificio alle spalle del loro campo: le pareti sventrate e parte del tetto collassato su se stesso che se fosse accaduto ventiquattro ore dopo, lì dentro ci sarebbero stati operai e impiegati, così come nell’edificio al di là della strada, una costruzione color arancio inclinata di venti gradi, a mo’ di torre di Pisa, intatta da una parte e completamente schiacciata al suo opposto.
Qualche mugugno su come sono andate le cose e su come vanno ancora, perché loro tendono a distinguersi da quelli con le divise di ogni colore. Perchè a Norcia c’è una realtà ufficiale, quella che appare ai TG, quella della Protezione Civile, dei Vigili del Fuoco, delle forze dell’ordine e dei militari e c’è una realtà ufficiosa, una realtà composita, che si organizza da sé, che non si appoggia a niente e a nessuno se non alle braccia e alle menti di questi ragazzoni che non hanno alcuna intenzione di lasciare questa terra, tanto meno di farla gestire a qualcun altro venuto da fuori. Sono schierati e non lo nascondono, ti parlano che anche durante questa emergenza c’è da sostenere una sorta di lotta di classe: c’è gente benestante e c’è gente che non ha più nulla, c’è gente che ha potuto permettersi di acquistare un camper o una casetta di legno e gente che fino a pochi giorni addietro dormiva in auto davanti al loro campo con otto gradi sotto zero.
«Hanno invitato la gente ad andare via, ad accettare le sistemazioni negli hotel di Perugia, di Foligno, del Trasimeno», conclude Matteo, «qualcuno ha accettato, soprattutto persone anziane ma tantissimi altri non se ne vogliono andare da questa città. Per questo restiamo qui anche noi, c’è veramente bisogno di non mollare un centimetro, di non darla vinta al terremoto e a chi comanda, perché se molliamo pure noi, se ce ne andiamo per qualche tempo, per questa terra sarà la fine».
Enrico è un testone più pacato rispetto a Matteo ma ugualmente tosto. Fa lo chef di professione ed era tornato a luglio a Norcia dopo tanto girovagare per lavoro. La notte in cui la terra ha iniziato a tremare, Enrico, che ha lasciato una tenda solo da qualche giorno per traslocare in una delle roulottes del campo, ha deciso che forse era meglio non ripartire, era più giusto restare.
«Ho ricevuto qualche chiamata di lavoro ma no, non me la sono sentita di andarmene da Norcia – dice. Adesso qui c’è da rifare tutto, da ricostruire non solo le case ma anche le persone, c’è da salvaguardare il territorio affinchè venga rispettato e non sfruttato. Di mio ho una casa nel centro storico e non so quando e se potrò tornarci; adesso sto qui, non ho nulla da chiedere, non lavoro ma non devo pagare neanche le bollette se è per questo.
In un certo senso è come se a partire dal 24 agosto fosse passata la livella da queste parti, ancor più dopo la scossa forte del 30 ottobre, il terremoto non ha guardato in faccia nessuno ed i primi giorni ho visto tutti a far la fila alla mensa della Protezione Civile, tutti, il pensionato e il bracciante, l’operaio ed il padrone, tutti accomunati da questa nuova realtà. Per ricominciare occorre esserci in prima persona, non possiamo delegare ad altri. E’ un po’ un anno zero per noi, credo che niente sarà più come prima, almeno lo spero. Il terremoto alla fine, potrebbe veramente contribuire a creare un movimento di rinascita sociale e culturale».
Nessuno che abbia voglia di fare i bagagli anche tra i più giovani del gruppo, nessuno che si lamenti del destino avverso, nessuno che versi una lacrima e a Norcia, dicono, nessuno l’ha fatto neanche un minuto dopo che è venuto giù tutto. Montanari dentro e testoni per di più.
Anche Daniele si è organizzato da sé insieme ad alcuni familiari ed amici. Vive a Roma e si occupa di social media. I suoi sono originari di Norcia e Castelluccio ma lui dal 30 ottobre da qui se ne va il meno possibile; si è attivato sui social network anche lui ed ha aperto un conto corrente per chiunque voglia dargli una mano (Facebook: Campo di lenticchia Castelluccio di Norcia) e da quella domenica mattina ha creato dal nulla una gioiosa macchina di solidarietà auto organizzata che qualche giorno fa ha donato trentacinque tablet ai ragazzi dell’istituto omnicomprensivo “De Gasperi – Battaglia” di Norcia.
«E’ venuto tutto spontaneamente» – dice Daniele mentre con il sindaco di Norcia, Nicola Alemanno, provvede a consegnare i tablet alla dirigente scolastica. «Abbiamo un magazzino qui vicino che non è stato danneggiato dal sisma, ce l’hanno messo a disposizione degli amici, dove abbiamo stoccato vestiario e beni di prima necessità. Ora stiamo raccogliendo soldi per aiutare l’azienda agricola di Luigi a Castelluccio, andata completamente distrutta, finanziando il tutto anche con la vendita di cinque quintali di lenticchia DOP: ho provveduto personalmente a fare la spola con Roma per venderla e tornare quassù con il ricavato. Poi mi sono attivato con qualche amico, un giro di telefonate e siamo riusciti ad avere questi tablet…facciamo quel che possiamo senza risparmio di energie, chiediamo solo alle persone di contribuire, di darci una mano attraverso le donazioni».
Daniele apre un capitolo a parte in questa storia già di per sé drammatica, quella dei piccoli centri, delle frazioni più o meno isolate come Castelluccio, “il piccolo Tibet”, il fiore all’occhiello dell’appennino umbro.. Il terremoto ha distrutto le chiese e le case ed anche le strade, giungere in questi piccoli centri di montagna è impresa ardua, difficile anche con i fuoristrada. Giungere a Castelluccio per la strada usuale è impossibile, in alcuni tratti non esiste più, in altri è completamente ostruita da massi grandi come un autobus.
Secondo i rilevamenti dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), in questo tratto di Appennino la terra è sprofondata di quasi un metro, mentre dall’altra parte della dorsale, nelle Marche, si è alzata più o meno nella stessa misura: queste montagne si stanno “distendendo”, l’Adriatico si allontana dal Tirreno, forze primordiali inimmaginabili interagiscono nelle profondità della terra e stanno continuamente ridisegnando il paesaggio geomorfologico italiano.
Norcia, Castelluccio, Arquata, Amatrice, ci stanno esattamente sopra, come gran parte della penisola. Succede così da un bel po’ di anni, qualche milione per l’esattezza, e continuerà così probabilmente per altrettanto tempo. Il problema delle vie di comunicazione è una grossa gatta da pelare e con la stagione invernale ormai iniziata, sarà difficile avviare qualsiasi lavoro di ripristino. Castelluccio di Norcia è isolata, irraggiungibile se non attraverso un percorso difficile che passa attraverso la Forchetta di Ancarano.
«Sono rimasti su in pochi», prosegue Daniele mentre con il sindaco Alemanno si parla delle strade di accesso alle frazioni. «Dormono in un container assieme agli alpini che hanno un presidio fisso lassù. Sono pastori, allevatori e contadini che devono comunque mandare avanti le loro attività, gestire il bestiame; ad alcuni il terremoto ha portato via tutto, ci sono mezzi, macchinari, attrezzi che sono sepolti da cumuli di macerie».
Il sindaco di Norcia ascolta, ha il viso stanco, provato. Ha voluto partecipare a questa piccola cerimonia informale per la consegna dei tablet ma poi deve scappare via, dice che non ha un attimo di respiro da un mese a questa parte. La scuola “De Gasperi – Battaglia” sta in un complesso prefabbricato dall’inizio dell’anno scolastico perché la scossa di Amatrice ha reso inagibile il complesso che sorge un po’ più in là. «Non dovrebbero esserci grossi problemi», esordisce Nicola Alemanno, «la parte costruita in cemento è a posto e anche l’altra, la parte vecchia non ha subito grossi danni, sono saltate le tamponature e quindi abbiamo dovuto chiuderla per maggior sicurezza. I ragazzi stanno tutti qui, quelli delle elementari, delle medie e delle superiori. Certo, c’è disagio perché sono costretti a fare i turni ma tra poco anche questo problema dovrebbe essere risolto», conclude. Sulle strade si mostra molto meno ottimista, non può assicurare nulla se non che 800.000 euro sono stati già stanziati ma ne occorreranno almeno il triplo. Almeno, ci tiene a sottolineare. Prima di scappare risponde ancora ad una domanda: il sindaco dove sta? Dove dorme? «Il sindaco lavora in un container e in giro per Norcia, a dormire vado in albergo a Trevi, ogni sera. Cerco di dare l’esempio ai miei concittadini».
Mentre la giornata volge al termine e la brevità del giorno dicembrino pian piano lascia spazio all’oscurità, la temperatura dell’aria si fa sempre più pungente; un timido raggio di sole fa capolino dietro una coltre di nubi poco prima di sparire a occidente dietro i profili di queste montagne che danno e che tolgono e viene ad illuminare di luce dorata un complesso di case proprio sopra la scuola. C’è del fumo che esce da un comignolo ed una signora in vestaglia celeste si affaccia dalla finestra al primo piano per battere un tappeto: sembra incredibile ma ci sono case in cui la gente continua ad abitare, case che non hanno subito un graffio nonostante l’epicentro della scossa 6.5 stia poco più su, verso Ancarano. Sono senza dubbio costruzioni di ultima generazione, progettate con tecniche antisismiche avanzate ma fa comunque un certo effetto vedere sprazzi di vita normale accanto ad edifici lesionati, squarciati, inclinati su sé stessi. Vuoti. La vita che continua, che rinasce ogni giorno anche in mezzo alla catastrofe di vite e cose che non saranno più le stesse.
Norcia non è stata Amatrice, Accumoli, Arquata, Pescara del Tronto, qui non c’è stato nessun funerale da celebrare grazie al Cielo, al caso, al destino, ognuno ringrazi quel che vuole ma così è stato. Dicono che l’esperienza dei terremoti del 1979 e poi del 1997 abbia permesso di ricostruire bene e con criterio, che il cosiddetto modello Umbria ha salvato forse centinaia di vite umane. Dicono anche che all’inizio, dopo la scossa del 24 agosto, Norcia non se l’è filata nessuno nonostante di problemi ce ne fossero già allora. Le parole le porta via il vento, dicono pure questo e quel che rimane in questa terra culla del monachesimo occidentale, è una grande dignità, una fierezza ed un amore per le proprie radici che nessuna magnitudo può scalfire. Come ad Amatrice, ad Accumoli ed Arquata, anche a Norcia c’è gente che è restata in piedi, magari con l’animo prostrato, sfiancato, ferito, ma orgogliosamente in piedi. Si arriva immaginando di trovare dolore e desolazione e si riparte dopo aver visto vita che vuol vivere e speranza che vuole sperare. Il testone Matteo ha scritto:
“Nel frattempo mi sono organizzato, non sono più solo in tutto questo caos e sto cercando di spendere il mio tempo in modo utile. In meno di un mese sono insieme ad altri, sono dentro qualcosa che vale più della somma delle singole parti. Un luogo ed un’ idea in cui e per la quale, ognuno fa il possibile secondo le proprie capacità e possibilità”.
E’ una dichiarazione di guerra, una bella dichiarazione di guerra a tutti i terremoti che sconquassano la Terra e a tutti gli egoismi e i menefreghismi che fanno più danni di qualsiasi sisma.