ORVIETO – Sette anni di reclusione con l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. E’ arrivata ed è dura, anche se non tanto quanto aveva chiesto il pm, la condanna per Marino Massimo De Caro accusato di peculato nell’ambito dell’inchiesta sul saccheggio della biblioteca Gioralamini di cui è stato direttore fino allo scorso anno. La sentenza del gup Egle Pilla è stata emessa al termine del processo con rito abbreviato per la sottrazione di centinaia volumi. Per il quarantenne orvietano, la cui carriera politica e manageriale, è decollata negli anni Novanta grazie all’amicizia col senatore Marcello Dell’Utri, il pm Antonella Serio aveva chiesto 10 anni. Seppur ridotta, la pena pesa come un macigno anche per la pena accessoria disposta dal giudice dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici. E diversamente non poteva essere di fronte ad un’accusa di peculato per la sparizione di migliaia di volumi di valore storico inestimabile. Il giudice ha condannato anche gli altri cinque imputati e ha disposto una provvisionale di 10mila euro al Comune di Napoli che si è costituito parte civile, a fronte di un danno che la Corte dei Conti ha stimato intorno ai venti milioni di euro. Ma non è finta qui. Sempre davanti al gip partenopeo, tra meno di dieci giorni, il 26 marzo, inizierà l’udienza preliminare per De Caro e altri 13 imputati, stavolta per l’associazione a delinquere finalizzata al peculato. In questa nuova tranche, è coinvolto anche il secondo orvietano che compare nell’inchiesta, ovvero il bibliofilo 36enne Stefano Ceccantoni, anche lui accusato del trasporto dei libri. Nell’ambito degli interrogatori (Ceccantoni è stato arrestato due volte nell’ambito della stessa inchiesta) avrebbe ammesso una decina di viaggi a Napoli. L’avvocato Sergio Finetti che difende Ceccantoni insieme al collega Alfredo Cursio ha già spiegato il ruolo del suo assistito parlando di “un vaso di coccio” che si sarebbe “trovato a sua insaputa in mezzo ad altri vasi di ferro”. Già altri imputati hanno sostenuto di non avere la consapevolezza che De Caro si stesse appropriando dei libri. A chi inscatolava l’ex direttore pare infatti che raccomandasse di stendere l’antitarlo per la conservazione, cosa che avrebbe fatto apparire del tutto legittima la movimentazione dei volumi.
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